L’ASSAGGIO


di Marco Magnoli*

Disteso tra i monti dell’entroterra palermitano, Ficuzza è luogo dal fascino seducente. Non è un caso se proprio in questo antico feudo, nel 1799, Ferdinando III di Sicilia fece costruire dagli architetti Marvuglia, padre e figlio, la Real Casina di Caccia, che in seguito abitò pressoché ininterrottamente per quasi tre anni. Così come non è un caso se ai primi del Novecento la località venne eletta a luogo di villeggiatura dalla nobiltà di Palermo.

Ci troviamo in un contesto di alta collina da tempo considerato di notevole potenziale viticolo, come testimonia il fatto che, quando nel 1800 re Ferdinando incaricò Felice Lioy, intendente della palermitana Commenda della Magione, di migliorare la qualità dei vini siciliani, bianchi in particolare, questi fece esperimenti anche con le uve raccolte a Marineo, nei dintorni di Ficuzza, e poi portate nella Casina di Caccia per la vinificazione.

Oggi nelle terre di Ficuzza si trova una delle tenute vitivinicole di Alberto e Diego Cusumano, che si affianca a quelle di proprietà a Butera, Monreale, Partinico e all’autentico gioiello rappresentato dai vigneti dell’azienda Alta Mora sull’Etna.

Tenuta Ficuzza

Il «vino del re» di Ficuzza

La storia degli esperimenti vitienologici del Lioy a Ficuzza ha stimolato la curiosità dei Cusumano, che si sono chiesti quali caratteristiche potesse mai avere il «vino del re» per poi riproporle in una veste più moderna.

Non essendone documentata la composizione, i due fratelli, insieme al loro enologo Mario Ronco, hanno lavorato un po’ con l’immaginazione: uve indigene da un unico terroir, per dare vita al progetto di un bianco ambizioso, il Salealto Terre Siciliane, che ha visto la sua prima uscita con l’annata 2018 ed è stato presentato in anteprima lo scorso 21 aprile in una comoda e, dati i tempi, imprescindibile degustazione in videoconferenza.

Inzolia, grillo e zibibbo

Per le uve la scelta è caduta su tre varietà della tradizione siciliana, inzolia, grillo e zibibbo (anche se il grillo non era disponibile ai tempi del Lioy, poiché sarebbe nato intorno al 1870 da un incrocio tra i sicilianissimi catarratto e zibibbo ad opera del barone Mendola di Favara).

I tre vitigni, presenti in parti uguali nell’uvaggio, vengono vinificati separatamente con macerazione in pressa a temperatura ambiente e successivo illimpidimento statico; seguono fermentazione in acciaio a 20°C, travaso ed assemblaggio dei vini, sosta di circa 10 mesi sulle fecce fini ed ulteriore affinamento in bottiglia.

Il periodo di maturazione sulle fecce fini è un altro omaggio alla tradizione enologica siciliana, che si solito prevedeva la permanenza del vino nelle botti sino alla vendemmia successiva, quando le botti stesse sarebbero servite per la nuova annata.

Tenuta Ficuzza d’inverno

Siciliano integrale e sostenibile

I Cusumano tengono a sottolineare quanto, nei loro intenti, questo nuovo vino voglia far parlare la Sicilia in modo integro ed integrale. Non solo, infatti, come tutti gli altri vini dell’azienda, è prodotto conformemente al protocollo di SOStain, il programma di sostenibilità per la vitivinicoltura siciliana patrocinato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente, del Territorio e del Mare, attraverso il progetto di sostenibilità V.I.V.A.; Salealto, soprattutto, vuole essere intimamente siciliano in ogni suo passaggio e risvolto: uve siciliane coltivate nel terroir unico ed esclusivo di Ficuzza, in vigneti posti a 700/800 metri s.l.m. con densità di 5.000 ceppi/ettaro, e vinificate con lieviti indigeni di Sicilia, frutto di un progetto condotto nei vigneti Cusumano che ha portato ad isolare e, quindi, selezionare tre ceppi di Cerevisiae giudicati eccezionalmente validi ed efficienti sotto il profilo enologico.

Salealto: suggestione veronelliana di un territorio solare e sotterraneo

Per quanto ci riguarda, da buoni veronelliani, ancora una volta quel che ci ha colpito nel Salealto 2018 è la capacità di racchiudere il suo territorio d’origine all’interno di una suggestione: con i suoi lievi riflessi dorati, la grande dolcezza e morbidezza al naso, temperata da qualche accenno di fragranti fiori bianchi, l’esotica aromaticità dello Zibibbo ben avvertibile, ma fusa e garbata, che torna, attesa, sul palato insieme al frutto maturo, risolvendosi in una struttura ricca e di piacevole eleganza, pervasa da una nota sapida fresca, profonda e vigorosa. Salealto sembra, infatti, ben raccontare le due anime della Sicilia, quella solare e mediterranea delle coste e quella più sotterranea, misteriosa e intrigante dell’entroterra.


MARCO MAGNOLI

Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento a occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.