Una nuova scoperta dei ricercatori di Fondazione Mach e Università di Milano aggiunge un importante tassello alla possibilità di praticare una viticoltura sensibile all’ambiente

La viticoltura, come parte importante del settore agricolo, è soggetta da sempre al paradigma agricolo dominante. Questo, dagli anni Cinquanta in poi, ha significato il ricorso, spesso favorito e promosso dai colossi agroindustriali, di prodotti di sintesi per la concimazione o la cura di patogeni.
Questa è stata la green revolution mondiale, avviata negli Usa nei primi anni Sessanta e votata ad un imperativo generalizzato: l’aumento della produttività.
Lo scenario globale oggi è mutato solo in piccola parte. Tuttavia cresce la sensibilità ambientale, oramai divenuta necessaria alla sopravvivenza, nel futuro, del pianeta.
Una sensibilità crescente, che interessa il mondo agricolo, viticolo e della ricerca scientifica.
Perché è necessario occuparsi di fornire a chi coltiva la terra alternative valide agli agrofarmaci, dannosi per ogni ecosistema e, purtroppo, ancora largamente utilizzati.

È un’ottima notizia, dunque, quella che comunicano La Fondazione Edmund Mach e l’Università di Milano. Un gruppo di ricercatori, tra cui Monica Colombo, Simona Masiero, Stefano Rosa, afferenti ai gruppi di ricerca di Paolo Pesaresi del dipartimento di Bioscienze dellUniversità degli Studi di Milano e di Silvia Vezzulli, della Fondazione Edmund Mach di San Michele allAdige (TN), ha pubblicato il 16 ottobre scorso un articolo sulla rivista scientifica on line Scientific Reports in cui dà conto della scoperta e successiva sperimentazione di una proteina che proteggerebbe la vite da alcuni importanti patogeni.

Spiega Paolo Pesaresi: 

“Nello studio abbiamo individuato la proteina NoPv1 (No Plasmopara viticola 1) capace di bloccare sul nascere l’infezione di foglie di vite da parte del patogeno. NoPv1 inoltre, non danneggia in alcun modo la crescita di altri microorganismi presenti nel suolo e benefici per la vite, oltre a non essere nociva nei confronti di cellule umane”. 

Seppur i risultati ottenuti siano preliminari, questa strategia rappresenta un importante passo in avanti nella ricerca di alternative a basso impatto ambientale agli agrofarmaci. 

Aggiunge Silvia Vezzulli:

“La tecnica potrà essere utilizzata per identificare proteine naturali in grado di contrastare le infezioni causate da diversi patogeni vegetali”.

Un’ottima notizia, dunque, sulla strada che porta a pensare le vigne non come opifici agricoli per produrre uva, ma come insieme di piante relazionate in un bioma e integrate nel suo equilibrio.

L’articolo pubblicato è qui