Intervista a Filippo Falugiani
Il mondo dell’olio è in continua evoluzione e la percezione del consumatore verso questa cultura gastronomica pure.
Ne parliamo con Filippo Falugiani, presidente di A.I.R.O. – Associazione Internazionale Ristoranti dell’Olio, tecnico oleario, nonchè ristoratore.
Per molti appassionati del vino e della cucina, l’olio è ancora un semplice alimento. Perché, a tuo parere, è importante invece conoscere meglio questo prodotto?
L’olio di eccellenza che riusciamo a produrre oggi è molto diverso da quello che si produceva poche decine di anni fa. È un prodotto totalmente nuovo per molti aspetti: agronomici, ci sono nuovi modi di intendere “il campo” (il rispetto per le piante per i frutti e per l’ambiente); tecnici, le tecniche di estrazione e conservazione innovative hanno permesso di produrre oli dalle caratteristiche sensoriali uniche in base a territorio, l’olio di oggi ha caratteristiche nutraceutiche di elevato valore, oltre ovviamente a essere molto più buono, molto più condizionante nel piatto. Tutte queste novità necessitano tempo per essere comprese a pieno, e anche dei modi appropriati per far breccia sul consumatore.
Forse quello che manca è la maniera di presentarlo, di valorizzarlo sia come abbinamento sia come servizio. Con A.I.R.O. insieme ad alcuni nostri partner ci stiamo lavorando da tempo e credo che nel giro di qualche anno riusciremo a divulgare alcune soluzioni valide per la sala e per la cucina.
È importante far ritrovare all’olio pregiato la sua vera identità.
Visitare un territorio olivicolo, un’azienda o un frantoio può essere un buon modo per avvicinarsi a questo mondo? I produttori sono preparati ad accogliere i visitatori e gli appassionati? Quali distretti consigli?
La visita in un frantoio, soprattutto nel periodo della frangitura, è un’esperienza davvero particolare. Oggi giorno le regole di igiene, la frenesia del lavoro, la tensione e i rumori talvolta assordanti, non permettono di stare molto all’interno del frantoio, dove cioè lavorano (solitamente) gramole e decantar. Ma anche solo respirare la tensione del frantoiano o assaggiare l’olio appena uscito è una cosa fantastica.
Alcuni produttori si stanno attrezzando per le visite e le degustazioni, altri lo hanno già fatto. Si inizia ad intravedere un turismo legato al mondo dell’olio, almeno qui in Toscana. Chi lavora solo di olio e produce eccellenze, ha già impostato un discorso legato al turismo, ci sono già buone prospettive.
Tutta l’Italia olivicola è a mio avviso interessante, e semmai più che un territori particolare consiglierei di andare alla ricerca di produttori illuminati. Perché talvolta sono loro che fanno grande un territorio, e non il contrario.
Cosa ti ha spinto ad occuparti professionalmente di questo prodotto? Perché ne hai fatto una tua priorità?
L’olio è viscerale; l’ho scritto anche nell’ultimo libro che abbiamo fatto insieme a Marco Provinciali e Andrea Leonardi, Come si mangia l’olio vol.3. Le passioni prima ci conquistano poi ci assorbono.
Inoltre credo che l’olio abbia davvero qualcosa da dire, sembra impossibile come tutti conoscono l’olio solo nella sue veste più superficiale e commerciale. Non si conoscono “gli oli”. Il nostro obiettivo è quello di farli conoscere agli Chef e ai responsabili di sala affinché possano presentarlo ai loro clienti, valorizzare i loro piatti. Alcune soddisfazioni ce le siamo già tolte, facendo cambiare idea ad alcuni Chef molto conosciuti…
Marco Mugelli, una figura fondamentale per l’olio italiano. Qual è stato il suo contributo?
Per me grandissimo, se non lo avessi incontrato probabilmente non mi sarei avvicinato all’olio di eccellenza. Era una persona burbera, scontrosa, ma che avevi il bisogno di sentire, di confrontarti. Ricordo davvero poco delle sue parole, ma ricordo molto bene i suoi silenzi, le espressioni del volto… mi sembrava di capirle senza dover domandare.
Marco Mugelli ha lavorato per l’olio mondiale, non italiano. Non aveva bandiere se non quelle dell’eccellenza senza compromessi. Grazie a lui la qualità dell’olio è migliorata notevolmente in tutto il mondo. Il suo contributo è stato fortissimo per le sue incessanti guerre a favore del buono e sano, ma anche per l’immensa eredità che ha lasciato. Eredità fatta di conoscenza, ma anche di principi, etica, stimoli; ci ha indicato una direzione che con A.I.R.O., e soprattutto insieme a Matteo e Marta Mugelli stiamo cercando di seguire.
Da ristoratore, in che modo l’olio può diventare uno strumento utile al tuo lavoro? E cosa possono fare i ristoratori per il settore olivicolo?
Abbiamo studiato alcune soluzioni per apportare vantaggio nell’usare oli più buoni e (solitamente) più costosi nei ristoranti. Sono soluzioni che danno valore al piatto, al servizio, alla gestione della sala, all’arredamento ma che devono essere anche necessariamente vantaggiose a livello commerciale. Talvolta ci si dimentica che il ristorante è un’attività commerciale, proprio perciò stiamo studiando modi per far pagare l’olio inserendolo come concetto di servizio o di materia prima nel piatto (food cost). Non è semplice perché a parole tutti i consumatori sono disposti ad accettare di pagare poco di più (davvero poco) per avere un prodotto di eccellenza anziché un prodotto mediocre. Ma poi la prima lamentala è sul prezzo e ci siamo trovati a confrontarci con alcuni consumatori sul 1€ in più o in meno nel coperto…
I ristoratori dalla loro dovrebbero fare qualcosa in più, per il loro bene. Hanno bisogno di differenziarsi e l’olio può essere un forte elemento distintivo. E’ conosciuto, apprezzato, da prestigio alla nostra terra e ci innalza a migliori produttori del mondo, è un vanto da sfruttare con orgoglio. Le nuove generazioni di Chef e Maître stanno imparando ad usarlo, perché ne capiscono la piacevolezza gustativa, ma anche la forza comunicativa.
Anche per la ristorazione il futuro è nell’olio!