Ci siamo già occupati dei vini di Franz Haas scrivendo del suo coinvolgente Manna 2007, assemblaggio di Riesling, Chardonnay, Sauvignon e Gewürztraminer assaggiato nel luglio dello scorso anno. Ora ho avuto l’occasione di recarmi in Südtirol/Alto Adige e visitare direttamente la cantina di Montan/Montagna, dove Franz in persona ha accolto me ed i miei compagni di avventura accompagnandoci in un appassionante viaggio attraverso la sua storia, il suo presente ed i suoi sempre assai interessanti e brillanti progetti per il futuro.

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Ci siamo infine seduti intorno ad un tavolo, con affascinante vista sull’Überetsch-Südtiroler Unterland (va bene, va bene: possiamo anche dire semplicemente Oltradige-Bassa Atesina), per degustare pressoché tutta la gamma dei vini prodotti. Un paio d’ore di dialogo serrato, con possibilità di confrontare anche differenti annate di uno stesso vino; ad essere sincero, però, già al secondo assaggio avevo eletto il mio beniamino, un autentico coup de foudre con conseguente inevitabile innamoramento. Dopo l’esordio con un Müller-Thurgau fresco e fragrante, ma dalla chiusura insolitamente “corposa”, Franz ci ha, infatti, subito proposto il suo nuovo Pinot Bianco Lepus 2013 (che si è guadagnato la preziosa etichetta della linea Schweizer) insieme al Pinot Bianco 2012.

Sotto il profilo enologico non sono molte le differenze tra i due vini, entrambi vinificati per il 70% in vasche d’acciaio a temperatura controllata e per il restante 30% in piccole botti di rovere (sebbene con un vignaiolo eclettico ed estroso come Franz Haas, alla continua ricerca delle perfezione fin nel dettaglio, qualche piccolo o grande cambiamento nei protocolli di cantina da un’annata all’altra è sempre da tenere in conto). Variano, invece, i vigneti di provenienza delle uve, che dall’annata 2013 comprendono anche appezzamenti di alta quota, fino a raggiungere altimetrie di 800 metri s.l.m.

Il fatto è che nemmeno il nordico ed “alpino” Südtirol è del tutto immune dalle bizze del cambiamento climatico e del riscaldamento globale. Per reagire a questa tendenza Franz ha, quindi, pensato di inseguire le ideali condizioni di coltivazione spingendosi in quota, dove il clima garantisce significative escursioni termiche, fondamentali per preservare la carica aromatica delle uve, e consente agli acini di maturare gradualmente e lentamente, così da arricchirsi di componenti aromatiche ed odorose.

A giudicare da questa prima esperienza con il Lepus 2013, ci sembra davvero che Franz abbia fatto la mossa giusta, perché nel nostro calice abbiamo trovato un vino dalla sottile ed aristocratica eleganza, complessa e composita, espressa da un sussurro di spezie e da delicate allusioni di mentuccia e mela, arricchiti al palato da un’acidità tonica e fragrante, con intriganti accenni di pompelmo vagamente amaricante.

Già ben più evoluto, al confronto, il vino del 2012, che a sensazioni fruttate più calde e mature unisce la consueta struttura alla quale i Pinot Bianco di Franz Haas ci avevano finora abituato, con un tocco morbido e speziato più denso ed avvertibile, mentre sul 2013 l’apporto del legno appare più fuso e calibrato, nonostante Franz ci abbia confessato come nell’ultima annata sia stata affinata in barrique una percentuale di vino un poco superiore rispetto al millesimo precedente.

Il più classico dei colpi di fulmine, come dicevo, che certo non mi ha impedito di apprezzare i vini serviti in seguito, tra cui il solito eccellente Manna, la schietta e sincera Schiava Sòfi, il sofisticato Pinot Nero Schweizer (al quale, nell’annata 2011, l’aggiunta in fermentazione di una quota di grappoli interi, completi di raspi, pare aver donato un surplus di carattere e vigore) ed il seducente Moscato Rosa. Il pensiero e l’emozione, tuttavia, sono rimasti là, sul Pinot Bianco Lepus 2013, ulteriore conferma dell’intima ed esclusiva sintonia tra questo vitigno ed i terroir sudtirolesi; direi, anzi, soprattutto quelli più alti ed estremi. Non ci stupirebbe, inoltre, se questa nuova via imboccata da Haas finisse per regalare al suo Pinot Bianco una più marcata longevità, supposizione confortata da un’altra mirabile esperienza “ad alta quota”, quella del Vorberg e del suo vigneto alto 900 metri sopra Terlano.

Un ultimo plauso va, infine, a Franz per la scelta di proporre i propri vini bianchi, finanche i più pregiati, con la doppia opzione di chiusura, tradizionale tappo in sughero o più attuale tappo Stelvin (volgarmente noto come “tappo a vite”). Questo secondo sistema di chiusura, oltre a preservare dal rischio di contaminazione da TCA, conserva potenzialmente nel vino maggiori doti di serbevolezza, freschezza e vitalità nel corso della sua evoluzione in bottiglia. Ormai ben radicato tra i più sagaci produttori, in particolare i “bianchisti” delle aree settentrionali, l’utilizzo del tappo Stelvin ci trova senz’altro concordi, forse per una volta con poco romanticismo, ma senz’altro con molto pragmatismo.

Marco Magnoli