La scorsa settimana siamo stati sulla costa toscana per alcune degustazioni riservate alla Guida Veronelli 2015, il cui lavoro di redazione si sta avviando proprio in questi giorni. Il 30 maggio eravamo a Bolgheri per valutare le annate più recenti di quel piccolo e benedetto angolo di Maremma. Centocinque i vini assaggiati tra Doc e Igt (questi ultimi, in realtà, un poco diradati rispetto agli anni precedenti, perché il cambio di disciplinare, che ha introdotto le tipologie monovarietali, ha portato molti vini del 2011, prima Igt, a rientrare nell’alveo della Doc Bolgheri).

Si è partiti con i Bolgheri Rosso 2012 e devo ammettere che siamo rimasti un poco disorientati, poiché in linea generale l’annata si è presentata vivace e disinvolta, con le note piraziniche dei vitigni bordolesi particolarmente accentuate a sottolineare un carattere vegetale piuttosto insistito. Con il campione n. 32, però, le cose hanno preso un’altra piega: sempre Bolgheri Rosso, ma ora del 2011, annata più armoniosa, fine e cesellata, tutto sommato più classica e “bolgherese”. Al campione n. 41 i giochi si sono fatti ancor più interessanti, dal momento che dell’annata 2011 sono entrati finalmente in campo i Bolgheri Superiore. Calice dopo calice, siamo così giunti al campione n. 48; e qui per me è stata un’epifania.

Intendiamoci, vini ottimi, persino eccellenti, erano già capitati tra il n. 1 e il n. 47 (e ci saremmo stupiti del contrario, considerando il tenore della Denominazione), ma il n. 48 è stato il primo a darmi un’emozione ed un piacere più intensi e profondi, a pizzicare le mie corde più intime. Colpiva la nota vegetale, ben presente, tanto da far supporre un Cabernet Franc in purezza, ma era un vegetale decisamente diverso da quello di tanti 2012 assaggiati in precedenza; un vegetale maturo e aggraziato, squisito e cordiale che, avvolto da una dolcissima sensazione di frutti di bosco, si risolveva in un incedere elegante e raffinato, in un racconto complesso, originale e molto personale.

A carte scoperte, ecco la prima piccola sorpresa: il n. 48 non era un monovitigno, bensì un classico taglio “bordo-bolgherese” con preponderante percentuale di cabernet sauvignon rifinita da un poco di merlot e di cabernet franc (e forse anche da un pizzico di petit verdot?). Altra leggera sorpresa ce l’ha poi riservata la sua identità: Bolgheri Superiore Sondraia 2011 dell’azienda Poggio al Tesoro, proprietà della veronese famiglia Allegrini.

Non che in passato questo vino non fosse buono, ma certe “teofanie” di solito ce le aveva rivelate il suo
fratellone Dedicato a Walter, 100% Cabernet Franc prodotto con le uve del vigneto aziendale più vecchio posto lungo la via Bolgherese (per inciso è questo uno dei vini che, già Toscana Igt, con l’annata 2011 ed il nuovo disciplinare è divenuto Bolgheri Superiore Doc). Il Sondraia nasce, invece, da una selezione delle uve coltivate in tutti i vigneti della tenuta, sia quelli sulla Bolgherese sia quelli in località Le Sondraie.

La storia di Poggio al Tesoro ve l’abbiamo già raccontata un paio d’anni fa in occasione del suo decennale di fondazione. La grande intuizione degli Allegrini – di Marilisa in primis, autentica anima del progetto insieme al compianto fratello Walter – è stata quella di far crescere quest’azienda concedendole una piena autonomia, affidandosi ad un team appositamente selezionato e senza trapiantare, dunque, in Toscana tecnici e responsabili presi dal quartier generale di Fumane.

Si è, così, creata una squadra compatta e motivata, guidata con palpabile entusiasmo da Marrico Toni, direttore, Franco Dal Colle, agronomo, e Nicola Biasi, enologo, una triade assai affiatata che condivide metodi ed obiettivi. Poggio al Tesoro non è, quindi, riconducibile ad Allegrini tout court; è qualcosa di diverso e indipendente, che deve naturalmente meritare e garantire il livello di prestigiosa eccellenza
raggiunto dalla casa madre, libero però di interpretare ed esprimere nei modi e coi linguaggi più adatti una terra tanto distante dalla Valpolicella.

Nel Sondraia 2011 mi è parso di scorgere una singolarità peculiare e distinta, ma pervasa da una precisa atmosfera; per dirla col poeta, uno spirito bolgherese colto nell’attimo in cui “Brilla de’ grappoli / Nel lieto sangue”. Personalmente trovo sia questo il linguaggio più adatto per dar voce a un terroir.

Marco Magnoli