Incontro con Walter Eynard nel cuore delle Langhe
La cucina è quell’insieme di culture e pratiche che nei corso dei secoli hanno via via cambiato l’approccio quotidiano al cibo. Questa rivoluzione si è fatta più marcata e vitale negli ultimi 60 anni, per lo meno per quanto riguarda il mondo occidentale. Siamo a un punto in cui tutto è già stato detto e sperimentato?
Non credo che tutto si stato detto e studiato. In questa rivoluzione comunque Gino Veronelli, lo dico con il cuore in mano, ha messo buon senso e raziocinio dicendo che la maggior parte degli uomini e delle donne ha già provato quasi tutto. Poi ci possono essere provocazione e sperimentazione, la tecnica è andata molto avanti ma fondamentalmente, forse, ci siamo innamorati troppo della tecnologia dimenticando che se ci togliamo le scarpe e camminiamo su un prato, sotto i nostri piedi c’è l’erba. E se passeggiamo in un bosco in quel luogo si sprigionano odori, profumi, consistenze importanti.
Forse bisogna imparare a tornare indietro, allora. Olfatto e gusto ce li siamo un po’ persi anche perché abbiamo inseguito estetismi eclatanti.
Se c’è un gusto nuovo, una nuova texture io ne sono affascinato, quindi c’è ancora spazio per l’innovazione ma che tenga conto della parte legata ai sensi, al sentire veramente.
Veronelli diceva, negli anni Sessanta, una cosa allora percepita come quasi incomprensibile ovvero che che non c’è grande cucina senza grande materia prima. Ora l’assunto è diffuso e forse anche abusato. Quale ruolo nella cucina di oggi e di domani, ha o avrà la materia prima?
Se in cucina hai una grande materia prima, l’unica cosa che non devi fare è rovinarla.
Al centro, anche domani, ci sarà sempre la materia prima. E noi dobbiamo prima di tutto rispettarla. Questo è stato anche il pensiero di Veronelli il quale diceva che se un contadino si rompe la schiena per coltivare una cipolla, un patata o allevare un coniglio o una gallina che fa uova meravigliose noi dobbiamo averne rispetto.
Io, anche se sono fondamentalmente un agnostico, arrivo da una cultura calvinista per la quale ogni prodotto della natura è un dono divino. Ci vuole, lo ripeto, rispetto.
Dalla materia prima al territorio. Le sue terre piemontesi di riferimento hanno accolto culture stratificate dall’occitana alla valdese a quella contadina, per tacere degli influssi francesi in generale.
La cucina nasce donna e non possiamo dimenticarlo, anche se alcuni colleghi dicono che non è vero. Ma la storia antropologica ce lo conferma. E poi la cucina è anche un fatto di sensazioni umorali, di tatto, di intelligenza, di gusto, di sensibilità. È donna, insomma.
Il territorio da me si trova ogni giorno. Io posso dire che lo zucchino è del tal contadino e dico anche che, se vuole, domattina andiamo a trovarlo. Che le rape non le ho ancora perché il contadino finché non brina non me le dà altrimenti non sono buone. Il mio territorio lo conosco a menadito e posso raccontarlo, anche utilizzando le sue materie prime. Invece conosco meno la mattanza del tonno di Carloforte. Non è nelle mie corde. Il mio è un crescere ogni giorno, insieme ai contadini e agli artigiani che mi forniscono le materie prime.
Poi qui in Piemonte abbiamo avuto la fortuna di entrare in contatto con molte differenti culture.
Per questioni religiose, e poi c’è stata la grande influenza francese, siamo sul confine, e anche quella tedesca e svizzera. E persino inglese, coi vari viaggiatori. E poi c’era anche il contrabbando. Io e mio figlio Jean David abbiamo scoperto un ampio e rigoroso ricettario di una geniale cuoca di Bobbio Pellice, scritto nel 1809. Ne siamo rimasti entusiasti e ne abbiamo curato la pubblicazione (“Cahier de cuisine. Un ricettario del 1809 di Madeleine Muston-Jahier” A cura di Walter e Jean David Eynard, Claudiana editrice, 2013). Parla di carciofi, arance, macis, acciughe che a Bobbio Pellice non esistevano, arrivava tutto di contrabbando. Tutti prodotti combinati per esaltare i sapori delle materie prime di un territorio ai piedi dei monti.
Oggi la cucina quotidiana sta cambiando. Che ruolo e che importanza ha oggi cucinare in casa?
Io mi sono innamorato di questo mestiere per motivi precisi.
Sono cresciuto coi nonni perché papà e mamma lavorano entrambi a Torino alla Fiat e coi turni non ce la facevano a starmi dietro, ma ogni fine settimana andavo da loro.
Il sabato mattina andavo con la mamma a fare la spesa perché poi durante il pomeriggio lei cucinava per l’intera settimana. A me sembrava un piccolo paradiso stare in quella cucina, con quei profumi, e vivere quei momenti insieme.
Anche dopo il matrimonio, pur avendo un ristorante ed amando uscire a cena con mia moglie, comunque a casa si cucinava. Il fatto di preparare il cibo insieme e poi goderselo è condivisione nel senso più puro della parola. Se partiamo poi dal presupposto che abbiamo la fortuna di mangiare due volte al giorno e anche di poter scegliere cosa mangiare, tutto acquisisce maggior valore.
Che relazione, oggi, tra l’atto dell’assaggio e la grande cucina? E quanto conta l’importanza di assaggiare utilizzando al meglio la nostra sensibilità, fin da bambini?
Parlo di me, della fortuna che ho avuto ad avere al mio fianco una donna come Gisela, mia moglie. A nostro figlio Jean David abbiamo fatto assaggiare tutto. Un giorno mia moglie ci ha trovati in giardino vicino ad un formicaio mentre tentavamo di assaggiare le formiche, e si è arrabbiata molto. I bambini sono un campo aperto. Se non imparano a riconoscere odori, e sapori la responsabilità è dei genitori. A me è capitato di fare corsi per i bambini e sono di una ricettività grandiosa. Il problema è quando i genitori sono dei babau. Ai bambini bisognerebbe anche dire “Hai le mani? Mangia con le mani! Hai il naso? Usalo!” e così via. E farlo insieme a loro, altrimenti non serve.
Io annuso sempre tutto. Anche quando compro un libro la prima cosa che faccio è annusarlo.
E in cucina?
Anche. Annuso sia per il piacere di farlo, sia perché mi pungola il pensiero. Quando percepisco un profumo mi sento Caronte, sento che devo traghettarlo sul piatto di chi poi assaggerà la preparazione che contiene quella materia prima. Inizio a pensare immediatamente a come posso far partecipare l’ospite a quella sensazione che io stesso ho appena provato. Qualcosa di intatto deve arrivare.
Veronelli si era inventato i soli, per indicare grandi vini o grandi piatti, per indicare alcune preparazioni che, nel loro essere di piccola o grande cucina, avevano in lui determinato un coup de coeur, una vera e sentita emozione. Quanto contano, nell’idea che Eynard ha di una grande cucina, le emozioni?
Senza le emozioni non c’è la vita. Le emozioni muovono il mondo. Emozioni e desideri. Sono le vere cose dentro di noi. Altrimenti uno è un morto che cammina. E anche in cucina se c’è passione e desiderio in quel che cucini metti tutto, vivi la tua emozione. Poi devi riuscire a trasportarla sul piatto e condividerla con l’ospite.
Cosa è importante più di ogni altra cosa oggi in cucina?
Nel percorso intrapreso a Cherasco insieme a Ferruccio Rivolta (il grande maitre Ndr), una cosa appare fondamentale, ed è il rispetto. Ferruccio ha girato il mondo ed ha un palato straordinario, partecipare a questo progetto con lui è una bellissima esperienza. Quello che condividiamo è un’etica in sala, in cucina ed in ogni luogo. Se tu lavori con saldi principi sei salvo. L’etica in cucina è semplice: devi rispettare i tuoi ospiti e ogni cosa che dici deve corrispondere al vero. Se dici che un prodotto è quello, quello deve essere. Non ci vuole una scienza, ma è la cosa più importante. In cucina, e anche nella vita naturalmente. Il rispetto è altrettanto importante. Non mi permetterei mai di giudicare il palato di qualcun altro. E’ chiaro che io ho dei parametri, ma il palato è un’esperienza individuale. Se io ti cucino una patata al forno perfetta e non ti piace perché sei abituato a quella del fast food, pazienza. Mangia pure quella del fast food. A me non piace ma ti rispetto.
Walter Eynard
E’ stato “lo” chef valdese di Torre Pellice, nel suo celebre ristorante Al Filipot insignito delle Due Stelle Michelin. Dal dicembre 2013 arricchisce con la sua ricerca gastronomica l’offerta ricettiva del Somaschi Hotel dentro la cornice settecentesca del Monastero di Cherasco (CN) in cui conduce il “Walter Eynard Restaurant”.
Simonetta Lorigliola