Non considero gli spaghetti alla carbonara un piatto tipicamente estivo. Le uova ed il guanciale, se gustati insieme in un clima troppo caldo, tendono ad appesantirmi un poco. Alcune sera fa, tuttavia, complice una fresca brezza che soffiava da nord, me ne è venuta un’irrefrenabile voglia e mi sono subito messo ai fornelli. Ho buttato gli spaghetti a bollire nell’acqua ed il guanciale a scaldare in padella; quando la sua parte grassa si è fatta quasi trasparente, l’ho spedito a raggiungere il pecorino che nel frattempo avevo preparato in una ciotola, allungandolo con un po’ d’acqua di cottura della pasta e spolverandolo generosamente di pepe (a me piacciono così, belli piccanti).
Anche i tuorli di due uova (da gallina ruspante, fornitemi da un mio vicino di “villeggiatura” sulle colline novaresi) erano già pronti, in attesa di entrare in scena. Scolata la pasta bene al dente, come un novello apprendista stregone ho unito il tutto – spaghetti, pecorino e guanciale – e ho cominciato a girare; solo a quel punto ho aggiunto le uova, badando a che la temperatura fosse quella giusta per scongiurare l’effetto “frittata” e favorire, invece, la fusione in un’invitante cremina. Ancora una bella ripassata di pepe (lo so, forse sono un po’ esagerato) e poi subito in tavola, prima che si freddi.
Mancava, però, il vino a cui, nella frenesia di placare al più presto le mie golose bramosie, non avevo pensato. Mi sono così precipitato verso la cantinetta dove tengo in fresco qualche bottiglia di bianco e, spinto da non so quale ispirazione, ne ho tratto una bottiglia di Greco di Tufo 2012 della cantina Fonzone Caccese di Paternopoli (Avellino). Un vino che – lo confesso con un pizzico di vergogna – non avevo mai provato prima, prodotto con le uve provenienti da un vigneto in comune di Santa Paolina, posto a 500 metri s.l.m. su suoli argilloso-sabbiosi con sottostanti venature sulfuree, esposizione sud-ovest. Si tratta di una vigna impiantata nel 1994 con densità di 2600 ceppi/ha, dove il greco viene allevato a spalliera con potatura a Guyot e resa di 70 q/ha; dopo la raccolta i grappoli vengono selezionati e pressati sofficemente; il mosto fermenta, quindi, a bassa temperatura per circa un mese ed il vino ottenuto si affina in acciaio per 5 mesi.
Tutto questo, naturalmente, l’ho scoperto dopo. Prima c’è stata la passione. Sì, perché con questo vino è stato il classico colpo di fulmine, scoccato non appena, in un luccichio di sfumature dorate, l’ho versato nel calice e mi sono lasciato ammaliare dai suoi incantevoli profumi, dalla sua nota agrumata netta ed evidente, con vivaci ricordi di lime e un tocco di pompelmo che, maliziosi, si sono avvolti intorno alle note di susina, albicocca, alle erbe aromatiche condite da un accenno di spezie appena pungolante ed ingentilite dalla seduzione mediterranea di una penetrante zagara. Perso tra le deliziose essenze, sono quasi riuscito a far freddare la pasta.
Alla prima forchettata e al primo sorso, però, è apparso eloquente il matrimonio d’amore: la struttura ricca e piena, il frutto dolce e polposo sembravano trovare preciso contrappunto nella fragranza dell’acidità e nel lieve ritorno amarognolo, amaricante, che, arricchendo di vibrante dinamicità il gusto, si incontravano quasi istintivamente con l’untuosa morbidezza del guanciale e delle uova, con la cremosa piccantezza del pecorino, ripulendo il palato e rinfrescandolo di un’armonia continuamente rinnovata. Insomma, mi sono innamorato perso.
Non so se l’abbinamento Greco di Tufo – spaghetti alla carbonara sia uno di quelli suggeriti dai migliori manuali di sommellerie. Credo, in fondo, di potermi definire un uomo romantico e qualche volta mi piace scoprire che le storie d’amore a lieto fine non sono necessariamente banali.
Marco Magnoli