Nonostante sia ormai giunta la primavera e a dispetto di alcuni giorni di caldo financo estivo, lo scorso fine settimana ci ha portato quel che si suole definire un classico “colpo di coda” dell’inverno, o almeno vogliamo sperare che di semplice colpo di coda si tratti. Avevo preparato alcuni Chardonnay di diverse parti d’Italia da assaggiare per continuare una panoramica sul vitigno iniziata con il Perlè 2006 delle Cantine Ferrari e che intendevo proseguire affrontando, dopo lo spumante, altre tipologie.

Il clima, tuttavia, mi ha fermamente sconsigliato, ponendomi innanzi ad una stringente alternativa: o riaccendere i termosifoni, o trovare un vino capace di scaldare, insieme all’animo, anche il corpo. Inutile dire che la scelta è caduta sulla seconda opzione, sia per interesse professionale sia, più prosaicamente, per la non esaltante congiuntura economica, che suggerisce un’oculata ed attenta gestione dei consumi familiari.

Domenica, mentre in pentola cuoceva un succulento girello di manzo, sono dunque sceso in cantina e mi sono rivolto ai vini meridionali, teoricamente quelli più caldi ed “assolati”. Molte le etichette papabili per accompagnare il lauto banchetto, ma in realtà la mia idea era già ben definita. Volevo in effetti riprovare un vino che mi era piaciuto moltissimo alla sua uscita e che ora, dopo quasi otto anni dalla vendemmia, mi incuriosiva scoprire come fosse evoluto.

Si tratta del Gioia del Colle Primitivo 17 annata 2006 di Polvanera, l’azienda a cui Filippo Cassano ha dato vita nel 2003, rinnovando la tradizione vitivinicola della sua famiglia con l’acquisto ed il restauro di una storica masseria in contrada Marchesana di Gioia del Colle, circondata da terreni dal caratteristico colore scuro che dà il nome alla tenuta. Il 17 nasce in vigneti di sessant’anni coltivati ad alberello, siti in località Montevella di Acquaviva delle Fonti su suoli profondi e ricchi di argilla.

Siamo nel territorio carsico della Murgia barese, ad oltre 300 metri s.l.m. Insieme a Manduria, quella di Gioia del Colle è la Denominazione pugliese più interessante per il primitivo grazie alle caratteristiche ambientali un poco estreme e ad aziende come Polvanera, che hanno impresso un indirizzo più moderno ed efficiente alla gestione della vigna e della cantina, ma sempre calibrando con cautela gli strumenti alle reali esigenze del vino. Dopo alcune iniziali sperimentazioni con le barriques, per esempio, Filippo ha capito che i risultati non erano quelli attesi ed ha, quindi, cambiato rotta.

Il Primitivo 17 viene, infatti, vinificato con 4 settimane di macerazione sulle bucce e successiva maturazione di almeno 18 mesi in contenitori di acciaio inox, rifinita da più di un anno di affinamento in bottiglia nella cantina aziendale. Prima di passare ai profumi ed ai sapori, proseguiamo ancora un attimo a parlar di numeri per chiarire come il 17 che identifica il vino sia esattamente ciò che sembra, ovvero un titolo alcolometrico ricco ed opulento che potrebbe scoraggiare anche chi fosse animato dalle migliori intenzioni.

Se, tuttavia, passiamo finalmente dai numeri ai profumi ed ai sapori, ci accorgiamo che quei 17 gradi (invero sono “solo” 16,5) certo scaldano e ammorbidiscono, ma non pregiudicano in alcun modo l’agilità e l’energia del sorso, precedute al naso da maturi frutti di bosco, vezzosi bouquet floreali, esuberanti effluvi speziati e rimpolpate sul palato da tannini dalla trama stretta e corposa, attraversata da un’acidità di eccellente proporzione, fresca e snella.

Un vino intenso e potente, eppure sorprendente per eleganza, garbo e tatto: 17 gradi e non sentirli, almeno fino a che si resta seduti. Una volta in piedi è un’altra storia, soprattutto se in due si è finita la bottiglia. Ma per fortuna domenica pioveva e tirava vento forte; meglio non mettere il naso fuori casa e lasciarsi quietamente sedurre da questo portentoso Primitivo.

Marco Magnoli