Se ne stava lì, un poco in disparte, in un angolo della nicchia riservata ai passiti. Non ricordavo di averla lasciata così isolata; la pensavo stretta alle altre bottiglie provenienti dalle aree settentrionali della Penisola, da quei climi che richiedono tempo ed ambienti di perfetta climatizzazione (naturale o forzata) per ottenere condizioni di appassimento ideali. Non so chi o cosa l’abbia fatta scivolare fin laggiù; forse è stata una sua idea per farsi notare, visto che da troppo tempo pazientava scontando quella sorta di fato che sembra accomunare i vini valdostani, dei quali non si parla mai più di tanto.

È un po’ lo scotto che tocca pagare alle regioni vitivinicole dalla produzione ristretta, soprattutto a quelle che smerciano la maggior parte del loro vino sul mercato turistico locale. È un peccato, perché la Valle d’Aosta è davvero capace di regalare vini sorprendenti, delle autentiche gemme preziose, cesellate con cura, che riservano incanti e delizie anche agli appassionati più critici ed esigenti: aromi freschi, sapidi, raffinati eppure incredibilmente intensi, che rendono ogni assaggio originale ed esclusivo.

La bottiglia, appartata ma non per questo meno ammiccante, proveniva dalla cantina La Crotta di Vegneron di Chambave, provincia di Aosta, e conteneva 375 ml di delizioso Vallée d’Aoste Chambave Moscato Passito Prieuré 2006, prodotto con uve moscato bianco coltivate nei comuni di Chambave, Saint Denis, Châtillon e Verrayes, in vigneti esposti a sud-est, sud-ovest e nord-est su terreni morenici, sciolti, sabbiosi ed in forte pendenza ad altitudine compresa tra 450 e 680 metri s.l.m.

Raccolti generalmente tra la fine di settembre ed i primi di ottobre a seconda dell’altimetria, i grappoli vengono posti ad appassire in locali ben arieggiati e quindi vinificati con macerazione pellicolare prefermentativa a freddo per 36/48 ore, successiva fermentazione a 16°C protratta anche per 30 giorni ed affinamento conclusivo di 12 mesi in acciaio sulle fecce fini, smosse da frequenti batonnages.

Ne risulta un vino dalla brillante e carica tonalità dorata che, nonostante i lunghi anni di permanenza in bottiglia, ancora conserva un’intensa e finissima nota floreale di rosa appassita, avvolta da un sottile velo speziato ed insaporita da un pizzico di miele d’erica e acacia. Il sorso è maturo e cremoso, con le piacevoli spezie che di nuovo cullano la densa sensazione di albicocca essiccata, ravvivata dalla fresca fragranza di acidità e mineralità. Equilibrio assoluto e abbacinante eleganza.

Se fosse una fotografia, non potrebbe che ritrarre una stilla di rugiada posata su un petalo di rosa ed accesa da un caldo riflesso autunnale.

Marco Magnoli