Siamo abituati a pensare che il vino dei colli romani, ovvero il famosissimo, cantato e decantato “vino de’ li castelli”, sia solo bianco e ottenuto da vitigni quali la Malvasia nelle sue numerose varietà – di Candia, del Lazio, Puntinata e persino Rossa – ed il Trebbiano Toscano, qui chiamato Procanico ma anche Passerana; al massimo pensiamo che qualche uva rossa sia arrivata dalle Regioni circostanti, un poco di Sangiovese e Montepulciano e nulla più.

Invece il Lazio, oltre ad avere nelle sue vigne una sorta di collezione ampelografia interna ed internazionale, conserva alcuni vitigni molto interessanti ed originali; se ne stanno chiusi in pochi e minuscoli areali di produzione, coltivati da piccolissimi vignaioli che per fortuna tramandano queste tradizioni ai loro sempre meno numerosi discendenti. Ma l’importante è che non si perdano del tutto queste abitudini o tradizioni che dir si voglia. Si tratta di vitigni dai nomi alquanto singolari come Cesanese, Nero Buono, Violone, Gennariello, Pampanaro e Tor de’ Passeri, solo per citarne alcuni.

Oggi, però, vi parlerò del primo della lista (che crediamo sia anche il più diffuso) perché ci siamo imbattuti in una bottiglia dall’insolita etichetta, che contiene solo il nome del vino affiancato, però, anche da un simbolo, tra l’altro non molto frequente e conosciuto. Eccolo: >. Si trova sulla sinistra della tastiera, spesso utilizzato da qualche sprovveduto dattilografo che, non conoscendo i simboli « e », li scrive così: << e >>. Noi stessi d’altro canto facciamo sempre un po’ di fatica a ricordare che questo < significa minore e quest’altro > maggiore o superiore. Tutto ciò per dirvi che in questa etichetta troviamo scritto a pennellate bianche su fondo nero: > Cesanese, ovvero un Cesanese Superiore.

Non rientra in nessuna delle tre Doc laziali legate al Cesanese, ovvero del Piglio, di Affile e di Olevano Romano, ma è un vino a Indicazione Geografica Tipica Lazio Rosso 2003 ed è prodotto dall’Azienda Agricola L’Olivella di Frascati in provincia di Roma. Il Cesanese è un vitigno di cui non si conosce l’origine, ma è descritto dagli ampelografi a partire dall’Ottocento; non è facile da coltivare perché non matura con grande spontaneità e bisogna aiutarlo con delle pratiche agronomiche appropriate, selettive e minuziose. All’Olivella lo si raccoglie tardivamente per favorire un poco la concentrazione degli zuccheri e degli aromi e la maturazione dei tannini.

Eccolo pronto, quindi, a darci i suoi profumi di frutti di bosco ben maturi e dolci, note di pepe nero piuttosto piccante, un riverbero vegetale fresco e mentolato ed una trama tannica fine e fitta, di bella tessitura e consistenza. Acquista eleganza anche con l’invecchiamento, che ha saputo levigare ogni asperità e conferire persistenza al gusto.

Non vi sarà facile trovarlo perché è prodotto in < quantità, ma d’altra parte sappiamo che la > qualità è cosa rara.

Gigi Brozzoni