Greco, greco bianco, greco di Bianco, greco nero, grecanico, grechetto, greco novarese, garganega… Sono tanti i vitigni coltivati in Italia che dal loro nome sembrano svelare una comune origine o radice ellenica. Quando si ha a che fare con i vini e i vitigni, però, le cose non sono mai semplici come appaiono.

La favola diffusamente sostenuta per molti anni, secondo la quale pressoché tutte le uve coltivate in Europa provenivano direttamente da Oriente, importate nell’antichità da mercanti e coloni, è ormai definitivamente smentita dalle analisi genetiche, che hanno mostrato come la maggior parte delle nostre varietà sia, in realtà, frutto di incroci tra viti selvatiche locali successivamente selezionate dai viticoltori indigeni.

Per quanto riguarda, in particolare, i numerosi “greco” diffusi nelle più svariate aree della nostra penisola, pare ormai accertato che l’omonimia sia dovuta a questioni… di “gusto”; che derivi, insomma, dal grande apprezzamento riscosso in epoca medievale dai cosiddetti “vini greci”, ovvero quei vini dolci e alcolici, di solito ottenuti previo appassimento degli acini, che venivano per lo più importati dal Mediterraneo orientale. Il loro successo spinse, naturalmente, i nostri antichi vignaioli a cercare di imitarli, vinificando “alla greca” le uve locali che parevano più adatte alla bisogna.

Il nome “greco”, quindi, non stava ad indicare una comune origine geografica, bensì il tipo di vino che con quei vitigni veniva prodotto un po’ ovunque in Italia. Il tempo, però, si sa, cambia le cose e capita così che oggi molti di questi vitigni vengano spesso utilizzati per realizzare vini che con i “vini greci” non hanno nulla a che vedere.

Uno dei casi più noti è quello del Greco di Tufo, insieme al Fiano orgoglio “bianco” di Campania, prodotto sulle alte colline dell’Irpinia. Il vitigno, qui, è certo antico, essendo con ogni probabilità riconducibile all’Aminea Gemella descritta dai Georgici latini, la cui caratteristica, proprio come per il greco di Tufo, era la costante presenza di grappoli doppi.

La scorsa settimana, complice un’estate che cominciava davvero a farsi calda, ho stappato, dunque, un Greco di Tufo Cutizzi 2010 dei Feudi di San Gregorio di Sorbo Serpico, provincia di Avellino, una cantina importante che è stata un punto di riferimento e di confronto per chi, come me, ha iniziato ad avvicinarsi ai vini di qualità negli anni Novanta. Se nel suo nome, per i motivi che abbiamo spiegato, potrebbe tradire un’identità un poco confusa, assaggiando questo Greco di Tufo è, invece, subito evidente una netta personalità, molto legata ad un territorio peculiare, nella quale si fondono la maturità e solarità del frutto, ma anche i timbri più speziati e le fresche sensazioni silvestri, balsamiche, persino resinose trasmesse da un clima di stampo decisamente continentale. Un vino intenso, ampio, insieme immediato e complesso, che trova nel fragrante ricordo agrumato il suo più preciso richiamo varietale.

Marco Magnoli