L’Etna non è solo un vulcano. L’Etna è anche il Mongibello, l’arabo Jabal Atma Siqilliyya, ovvero la “montagna somma della Sicilia” divenuta poi il Mons Jebel, con un pleonasmo che rafforza l’immagine di unicità ed imponenza trasmessa dai suoi 3340 metri e felicemente sintetizzata dai siciliani, che spesso la nominano semplicemente come ‘a Muntagna.
Bisogna, dunque, partire da questa duplice natura, di vulcano e di montagna, per capire il carattere dell’Etna quale comprensorio viticolo dall’enorme potenziale. Sulle sue pendici, infatti, i suoli di matrice vulcanica, capaci di trasmettere peculiari doti di finezza ai vini, si uniscono a microclimi assai differenziati in funzione del versante, dell’esposizione, del colore e della pendenza del terreno, oltre che, naturalmente, dell’altitudine del vigneto, poiché in questo ambiente “alpino” le viti sono state piantate in una fascia che si estende dai 400 fino ai 1000 e più metri s.l.m.
Così negli ultimi anni l’area etnea è divenuta giustamente famosa per l’estrema eleganza e classe dei suoi vini rossi, ottenuti prevalentemente da nerello mascalese e cappuccio. Provate, però, ad immaginare quale intensità aromatica, freschezza e fragranza possano raggiungere in tale contesto i vini bianchi, dei quali, purtroppo, ci sembra si parli ancora troppo poco.
Tradizionalmente è il carricante a farla da padrone tra le varietà a bacca bianca presenti sul vulcano; come suggerisce il suo nome, si tratta di un vitigno di grande produttività, ma quando è coltivato con le cure e le rese opportune in una situazione ambientale tanto particolare è davvero in grado di dare vini di personalità e profondità eccezionali, con insospettate attitudini all’invecchiamento.
Per dimostrarlo abbiamo assaggiato l’Etna Bianco 2011 dell’azienda Cottanera, con sede e vigneti a Castiglione di Sicilia, in provincia di Catania. Cottanera è un nome importante per l’Etna, perché negli anni Novanta i fratelli Cambria, Enzo ed il compianto Guglielmo, furono tra i primissimi imprenditori locali ad intuire e valorizzare le potenzialità della zona, acquisendo vigne e convertendo a vigneto terreni dedicati ad altre colture.
Le uve per l’Etna Bianco vengono coltivate nel vigneto Iannazzo, a 700 metri s.l.m.; vinificate in acciaio previa macerazione a freddo di 24 ore, si traducono in un vino di straordinario fascino, fresco, stimolante, con fragranti accenni di agrumi ed una beva rinvigorita da una dinamica vena di sapidità, che si carica persino di raffinate note minerali ed idrocarburiche, dovute forse ai suoli, forse alla luminosità della montagna, forse a quella componente aromatica chiamata TDN naturalmente presente nel carricante, che è poi la stessa che nel tempo conferisce ai grandi Riesling tedeschi tutto il loro incredibile charme.
Se per i rossi etnei, dunque, si scomoda spesso il paragone con i vini di Borgogna, per i bianchi è lecito azzardare un accostamento con la Germania? Sinceramente questo è un gioco che non ci entusiasma e preferiamo continuare a considerare quelli del vulcano come vini schiettamente siciliani; anzi, genuinamente etnei.
Marco Magnoli