Diversi sono i vitigni di origine francese che hanno trovato una comoda seconda casa nei vigneti del Südtirol/Alto Adige; i rossi pinot nero, cabernet e merlot insieme ai bianchi chardonnay, pinot bianco e sauvignon sono quelli maggiormente diffusi e forse meglio acclimatati.

Il pinot bianco, in particolare, ci pare esprimersi con singolare agio in quei climi e su quei terreni, tanto da regalarci spesso versioni memorabili, sia che provenga dalle più “meridionali” vigne della Unterland/Bassa Atesina, sia che ci si spinga sempre più a nord, su su fino a giungere nell’impervia Vinschgau/Val Venosta.

Fra tutti i variegati terroir del Südtirol, però, ce n’è uno che sembra fatto apposta per farci crescere il nobile vitigno di origine francese (anche se, dopo oltre 150 anni di radicamento in Alto Adige, direi che ormai è un francese che quantomeno parla uno spiccato accento teutonico); anzi, andando ancor più nello specifico, c’è un vigneto particolare che ha ormai dimostrato di essere uno dei più grandi cru di Pinot Bianco al mondo. Sì, al mondo; e lo affermo senza tema di smentita alcuna.

Il vigneto, naturalmente, è l’ormai mitico Vorberg, dal quale la Cantina Produttori di Terlano, in provincia di Bolzano, produce un’altrettanto mitica ed assurdamente longeva Riserva. Il Vorberg, incuneato tra il torrente San Pietro ed il rio Meltina, si estende alto e ripido sopra Terlano, tra i 600 e i 950 metri s.l.m., su terreni sabbiosi, ciottolosi, di origine porfidica.

Il vino viene prodotto con lenta fermentazione a temperatura controllata in botti di rovere da 30 hl, seguita da affinamento di 12 mesi sui lieviti fini in tradizionali botti di legno. Oggi la vinificazione è affidata al giovane e bravissimo enologo Rudi Kofler, ma l’intuizione che ha portato alla nascita di questo prodigioso cru fu del leggendario kellermeister Sebastian Stocker, uno dei grandi maestri della tradizione bianchista altoatesina, che per primo comprese la strabiliante alchimia tra quel vigneto e quel vitigno.

Il Pinot Bianco Riserva Vorberg esce con il nome del vigneto in etichetta dall’annata 1993, mentre prima veniva etichettato solo come Terlano Pinot Bianco. Un vino che colpisce da giovane per la sua eccellente personalità, ma che ancor più sorprende in età – per così dire – “avanzata” per la sua incredibile capacità di tenuta nel tempo. L’annata più vecchia che mi sia finora capitato di bere è stata la 1980; però almeno sono riuscito ad assaggiarla più di una volta.

La prima bottiglia di Alto Adige Terlano Pinot Bianco 1980 mi ha rapito in occasione di una lontana degustazione svoltasi nel febbraio del 2005 nelle sale del Seminario Veronelli e dedicata significativamente alla “terza età” dei vini. Mi sono poi lasciato ammaliare per la seconda volta lo scorso marzo, ospite del Consorzio Vini Alto Adige nel ristorante di Carlo Cracco a Milano, teatro di un evento che vide protagonisti una quindicina di Pinot Bianco altoatesini abbinati ad alcune creazioni del pluristellato chef.

Ma siccome non c’è due senza tre, la terza volta me ne sono ri-innamorato un paio di settimane fa, quando, a margine di una degustazione un filo deludente di italici Riesling Renani, Gigi Brozzoni ha voluto tirarci un po’ su di morale con questa inaspettata chicca: un vino che dopo 33 anni ancora sfoggiava un colore limpido, brillante, appena riscaldato da qualche sfumatura dorata; il profumo tradiva qualche accenno di evoluzione, ma solo a guisa di sipario che subito si è schiuso su una nota di dolcissima pesca dalla sbalorditiva integrità, ornata da una morbida corona di fiori essiccati, quasi glicine o camomilla, e scossa da un sottile brivido minerale, una brillante sapidità che riusciva a donare vivacità al sorso reso leggiadro da un’acidità fiera, ma nello stesso tempo placidamente disteso in un morbido abbraccio di burro d’alpeggio, ricco di aromi di pascolo e fieno.

Tutto ciò per sottolineare, se ancora ce ne fosse bisogno, come il vigneto Vorberg somigli tanto a una sorta di miracolo che da più di cinquant’anni si ripete annata dopo annata, regalandoci un vino che banalizza ogni convenzione e luogo comune.

Marco Magnoli