Non so se sia stato così anche per voi, ma personalmente ho dovuto combattere a lungo per sradicare dal mio immaginario l’idea del Moscato d’Asti quale vino di poco conto. Penso che tale atteggiamento sia sorto in me perché il Moscato era l’unico vino che mi fosse consentito, se non proprio bere, quantomeno assaggiare fin dalla prima infanzia; un vino dolce, vivace, poco alcolico, sempre legato a qualche festa o festeggiamento, offerto immancabilmente in compagnia di una golosa torta: cos’altro avrebbe potuto pensare un bambino, se non che si trattasse, appunto, di un vino da bambini?

Passano gli anni, si diventa adulti, ma quella convinzione rimane lì, ben fissata in un angolo del cervello da dove continua indisturbata a mandare e rimandare il suo messaggio settario e denigratorio. Poi capita di avvicinarsi con maggior interesse al mondo del vino, ci si scopre appassionati e si comincia a guardare a tutto ciò che lo anima e lo compone con un’indole più critica e matura. E allora ci si sofferma con nuovi occhi, nuovo naso e nuovo palato anche su quel Moscato che fino ad ora si era guardato con un pizzico di sussiego e forse di condiscendenza, quasi gli si dovesse perdonare un piccolo peccato veniale.

Si comincia, così, a comprendere che il Moscato d’Asti non è un vino così banale e scontato, se ne scoprono inflessioni prima trascurate, sfumature diverse, dettagli minuscoli ma intriganti e stuzzicanti. Eppure per tutti gli altri intorno a me il Moscato continua a rimanere solo l’inevitabile vino delle occasioni festive, quando anche i bambini possono pucciare il dito o bagnarsi le labbra e la nonnina sorseggia lieta perché “quel vinello qui non dà mica alla testa”.

Fino a che non si presenta un compleanno nei primi giorni d’estate e ad accompagnare la classica torta compare una bottiglia di Moscato d’Asti La Caudrina 2012 prodotto dall’omonima azienda di Castiglione Tinella, provincia di Asti; è l’azienda di Romano Dogliotti e della sua famiglia, più che un nome un termine di paragone assoluto per il Moscato. Seduti all’ombra sotto le fresche chiome di un robusto gelso (o “murun”, come lo si chiama dalle mie parti) si affonda un po’ svogliati la forchetta nel pan di Spagna e quindi il naso nel bicchiere.

Quel che ne emerge è un fragrante profumo vegetale, di verdi foglie di salvia, che donano vigore ai più dolci ricordi floreali, al tocco di albicocca, ma anche alla pesca bianca e alla deliziosa vaniglia; si beve, dunque, e la carbonica avvolge ogni cosa in una cremosa sensazione che carezza il palato e lascia la bocca pulita, agile, pronta al sorriso e alla favella; presto si abbandona la torta (ma non il bicchiere) e ci si ritrova immersi in chiacchiere, frizzi, lazzi, scherzosi battibecchi. No, il Moscato non è un vino da bambini; spesso è, piuttosto, un vino capace di creare un’atmosfera quasi magica, di confidenza e condivisione, un momento di leggerezza in cui abbandonarsi agli affetti e all’amicizia.

E per tutto questo non dovrebbero servire torte, feste o ricorrenze particolari.

Marco Magnoli