Chissà cosa sarà successo più di un secolo fa, quando per rimediare ai danni della fillossera si decise di importare in Italia il cabernet franc e invece arrivò il carmenère? Chissà quanti vivaisti furono interessati a questa enorme operazione di moltiplicazione di barbatelle innestate su radici americane, nessuno dei quali si accorse che non erano di cabernet franc? Chissà cosa successe ai nostri istituti enologici che per più di un secolo non si accorsero che quello che chiamavano cabernet franc era invece carmenère?
Chissà cosa pensavano fosse il cabernet franc i vivaisti italiani, che per un secolo hanno prodotto milioni di barbatelle fasulle? Chissà cosa guardavano i nostri ricercatori, quando individuavano e omologavano nuovi cloni di cabernet franc senza accorgersi che le descrizioni ampelografiche non corrispondevano all’originale vitigno bordolese? Chissà perché i nostri legislatori, che sanno degli errori fatti in passato, non provvedono a regolamentare correttamente le normative e i disciplinari di produzione?
Ciascuno potrà darsi le risposte che crede: noi, non essendo votati a combattere né i simbolici mulini a vento né i concreti muri di gomma nazionali, sappiamo che le nostre sono domande retoriche alle quali nessuno darà mai risposte credibili.
Allora preferiamo restare ancorati alle nostre esperienze pratiche e concrete che consistono semplicemente nello stappare bottiglie, perché sappiamo che alla fine il vino non mente e le risposte ai nostri quesiti è più facile che giungano da una bottiglia.
E in effetti la degustazione di ieri sera al Seminario Veronelli è stata particolarmente eloquente; ci ha parlato delle doti qualitative di un vitigno ritenuto difficile da tutta l’enologia del mondo, ci ha rivelato i caratteri organolettici estremamente raffinati ed eleganti di un vitigno ritenuto rustico dai più, ci ha indicato che la costa tirrenica della Toscana, da Lucca a Grosseto, è un territorio estremamente favorevole a questo vitigno ed in particolare ci ha confidato che il territorio di Bolgheri è un ambiente magico per il cabernet franc, quello vero, quello autentico e certificato dai vivaisti francesi.
Da Bolgheri, vale a dire Castagneto Carducci, in provincia di Livorno, vengono i due vini preferiti dal nostro pubblico: il Paleo Rosso Toscana 2009 dell’azienda agricola Le Macchiole ha incantato per la sua straordinaria ampiezza ed eleganza, ponendosi al vertice dei consensi; a breve distanza si è piazzato il Dedicato a Walter Toscana Cabernet Franc 2009 della Tenuta Poggio al Tesoro della veneta famiglia Allegrini, con la sua ricchezza, intensità e finezza rigorosamente equilibrate; a qualche distanza è, poi, giunto il Duemani Toscana Cabernet Franc 2009 dell’azienda Duemani di Riparbella (Pisa), con la sua grande generosità e compattezza regolate da superba classe; ancora un passo indietro e ci siamo trovati un’originalissima e personale interpretazione del Cabraia Rosso Toscana 2009 dell’azienda Gualdo del Re di Suvereto (Livorno), con aromi mentolati e pepati di sicura raffinatezza.
Ora, però, dobbiamo fare due ragionamenti che solitamente preferiamo evitare, perché oggi ci è impossibile non notare che i due vini preferiti dal nostro attento pubblico sono praticamente di due dirimpettai, con alcuni tratti comuni: Le Macchiole di Cinzia Merli, moglie e continuatrice di Eugenio Campolmi fondatore dell’azienda che fu l’artefice dell’avventura con il cabernet franc, ha i suoi vigneti sul lato ovest, verso il mare, della strada Bolgherese; Poggio al Tesoro è governato (mi si passi il termine così desueto ai giorni nostri) da Marilisa e Franco Allegrini, che hanno il loro vigneto di cabernet franc alla stessa altezza della Bolgherese ma sul versante est, verso i colli, ed hanno dedicato il loro vino al fratello Walter, che fu l’iniziatore dell’avventura toscana della famiglia Allegrini.
Entrambi i vigneti furono ideati, progettati e realizzati nei primi anni Novanta da Luca d’Attoma, il quale ancora oggi vinifica i vini de Le Macchiole. L’azienda Duemani, che ha piazzato al terzo posto il suo Cabernet Franc, fa riferimento alle mani di Elena Celli e Luca d’Attoma, che di concerto gestiscono biodinamicamente questa azienda sulle colline Pisane. E allora ci viene facile affermare con sicurezza che Bolgheri ha due eccezionali Grand Cru Classé di Cabernet Franc, oltre a quelli classici ormai noti e arcinoti.
In più vogliamo porci un’ultima domanda, sicuramente retorica: chissà che Luca d’Attoma non abbia un bel feeling con il Cabernet Franc?
Gigi Brozzoni