A volte, bisogna riconoscerlo, la scuola può creare qualche intoppo nel percorso formativo delle giovani menti. Ricordo, undicenne, l’improvvida decisione dei miei insegnanti di portarci al cinema per assistere a Kagemusha di Akira Kurosawa. I sottili riferimenti intellettuali spalmati su quasi tre ore di proiezione erano francamente troppo per degli imberbi del tutto privi della sensibilità – oltre che della pazienza e volontà – necessaria per comprenderne la finezza. Ciò che voleva essere un’introduzione al cinema “alto” si risolse in una sala piena di ragazzetti scalmanati e urlanti, intenti a tutto fuorché a cogliere il senso dell’opera.

Per quanto mi riguarda, l’esperienza mi tenne a lungo lontano dai film di Kurosawa. Solo anni dopo, più maturo e stagionato, ho osato rivedere Kagemusha, quindi Rashomon, I sette samurai, Ran,… Fra gli ultimi Sogni (Yume in giapponese), che fonde etica ed estetica nella saggezza che forse solo la vecchiaia di una vita ricca e piena sa regalare ad un uomo. Uno degli episodi di cui si compone il film è quello del ragazzo affascinato dalle opere di Van Gogh al punto da venirne fisicamente rapito, passeggiando per i luoghi e dialogando con i personaggi ritratti fino a ritrovarsi a discutere con il pittore stesso, immerso nel paesaggio che noi conosciamo come il Campo di grano con corvi.

“Questo luogo trascende la realtà, si dipinge da sé.” – confessa il maestro –  “Io lo divoro tutto, totalmente; e quando ho finito il quadro è davanti a me, completo. Dopo di che ho dentro di me il vuoto assoluto”. Poi l’artista si congeda dal giovane: “Il sole mi costringe a dipingere, non posso perdere tempo parlando con lei”. “Il sole mi costringe a dipingere”. Quello stesso sole che costringe la natura ad esprimersi nei suoi modi e a donare i suoi frutti, spesso con l’identica violenza e passionalità racchiuse nella pennellata intensa, “grumosa” del genio olandese.

Sedotto da un’omonimia, azzardo ora un’affinità. I Sogni di Kurosawa mi hanno ricordato il Montepulciano d’Abruzzo Yume 2007 di Caldora Vini in quel di Ortona, provincia di Chieti, e nelle messi estive d’Abruzzo, nei suoi campi e vigne, mi è parso di scorgere la stessa esuberanza “materica” dei campi di grano e dei cupi cieli di Van Gogh, grazie all’immediata solarità del frutto, al calore del vegetale secco, del tabacco e del cuoio, ripresi sul palato dai tratti più scuri e nervosi delle spezie, della menta e della liquerizia.

Se i quadri dell’ultimo Van Gogh esprimono angoscia e solitudine, opposto è però il messaggio del vino di Caldora, che vuole comunicare speranza e solidarietà: le uve per Yume provengono, infatti, da un vecchio vigneto da anni gestito dalla Comunità Soggiorno Proposta, dedita al recupero dei giovani vittime di dipendenze da droghe e alcol.

Marco Magnoli