La Toscana dei vini storici è tradizionalmente identificata con le zone interne collinari (Chianti, Carmignano, Montepulciano…), delimitate dettagliatamente sin dal 1716 con il famoso decreto di Cosimo III de’ Medici. Lungo la fascia costiera, invece, si sono viste fiorire negli ultimi decenni nuove – almeno in fatto di alta qualità – e sorprendenti aree produttive, a partire dalla rivoluzionaria affermazione di Bolgheri.

È dunque del tutto naturale che anche l’incantevole comprensorio di Capalbio, punta estrema meridionale della Maremma Toscana, proponga oggi vini di grande interesse. L’occasione per valutarne è stata “Capalbioèvino – Dieci cantine, un territorio”, manifestazione che ha visto dieci aziende del territorio comunale di Capalbio unire le forze per presentare al pubblico i propri vini il 7 e l’8 giugno scorsi, attraverso due giorni di assaggi liberi e di degustazioni guidate da Gigi Brozzoni, Direttore del Seminario Permanente Luigi Veronelli.

Numerose, durante la manifestazione, sono state le occasioni di dialogo e di proficuo confronto tra lo staff del Seminario Veronelli e i rappresentanti delle aziende, ma anche con il sindaco e l’amministrazione comunale che hanno manifestato il loro vivo interesse a sostenere e sviluppare in futuro i progetti dei produttori locali.

La produzione di vini bianchi a Capalbio è legata al vitigno vermentino, diffuso in tutta l’area tirrenica settentrionale e in Sardegna, e all’ansonica, che invece è presente, con nomi diversi, nella Toscana meridionale, nel Lazio e in Sicilia. Nella maggioranza dei vini bianchi assaggiati è il potenziale aromatico del vitigno il fattore chiave attorno cui è sviluppato il processo di vinificazione.

Nei vini a base vermentino obiettivo comune a tutti i produttori è la restituzione nitida delle note floreali, di frutta fresca, talvolta di agrumi ed erbe aromatiche, caratteristiche ormai note e ricercate dai consumatori, mentre nei vini da uve ansonica – quasi sempre in stile ossidativo – a fronte di un apporto varietale meno connotato si tende ad arricchire il profilo aromatico attraverso tecniche quali la macerazione sulle bucce che amplificano la componente speziata e di vegetale secco, oltre ad apportare in bocca una gradevole dimensione tattile.

I rossi a base di uve autoctone evidenziano invece il differente potenziale qualitativo in quell’areale del sangiovese e dell’alicante. È noto, infatti, che il sangiovese in climi eccessivamente caldi evidenzi i suoi tratti meno eleganti: note di cottura, eccessivi sentori animali, tannini verdi piuttosto aggressivi, una persistenza aromatica vegetale e nervosa. L’alicante, invece, senz’altro più adatto al clima nettamente mediterraneo di Capalbio, esprime in modo nitido l’intero suo spettro aromatico.

Di alto livello, infine, i rossi ottenuti da vitigni internazionali: che si tratti di vitigni originari della valle del Rodano o del Bordolese, un ruolo decisivo gioca senz’altro la possibilità di ottenere vini di grande equilibrio, completezza e profondità grazie a un sapiente assemblaggio.

Com’è naturale attendersi da territori enologicamente “giovani”, la qualità espressa dalle diverse realtà aziendali è ancora piuttosto eterogenea, ma proprio per questa ragione eventi come Capalbioèvino sono quanto mai importanti, in primis per i produttori. Raccogliere riscontri diretti da appassionati e professionisti permette loro di posizionarsi in modo oggettivo nel panorama produttivo locale, di evidenziare le tendenze generali e i percorsi individuali più interessanti, oltre, naturalmente, agli errori da evitare facendo tesoro delle esperienze altrui.

La qualità media dei vini di Capalbio, già più che soddisfacente, è destinata a crescere rapidamente nei prossimi anni: ci scommettiamo!

Andrea Bonini