Qualche sera fa ho visto in tv, su Rai Premium, un’edizione televisiva di Filumena Marturano, la famosa commedia di Eduardo De Filippo scritta nel 1946, che ebbe come primi interpreti lo stesso Eduardo e la sorella Titina. Innumerevoli le letture che si sono realizzate da allora e che hanno visto una folta schiera di grandi interpreti alle prese con le vicende altamente drammatiche e commoventi di Filumena e di Domenico; tante le versioni teatrali realizzate in Italia, che hanno coinvolto di volta in volta nomi eccellenti del teatro italiano, da Regina Bianchi a Pupella Maggio, da Valeria Moriconi a Isa Danieli, da Lina Sastri a Mariangela Melato, per arrivare alla eccezionale versione inglese diretta da Franco Zeffirelli e interpretata da due monumentali Joan Plowright e Laurence Olivier, coniugi e colonne portanti del Royal National Theatre di Londra. Mitica la versione cinematografica che ne ha dato Vittorio De Sica nel 1964 con il titolo Matrimonio all’italiana, con una splendida coppia di affiatatissimi Sofia Loren e Marcello Mastroianni.

La versione vista in televisione fu realizzata per Rai1 nel 2010 con una leggera traduzione dal dialetto napoletano curata da Massimo Ranieri, che pure ha curato la regia e l’interpretazione di Domenico. Al suo fianco una bravissima Mariangela Melato che sulle tavole dei palcoscenici ha sempre dato il meglio di sé. Le musiche originali sono di Ennio Morricone e potreste andare a vedervi una scena molto toccante a questo indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=D5_4HVo7Hsc

Sono quasi convinto che il vino che arriva in tavola sia una bottiglia di Lettere, il vino della penisola Sorrentina, molto comune sulle tavole napoletane, ma forse è solo una suggestione desiderata per una pretesa precisione filologica. Di certo, invece, c’è che il grande teatro rimane grande qualunque sia l’interpretazione, la lettura che ciascuno gli dà, in Patria e nel Mondo, da registi, attori, scenografi e musicisti, proprio come un grande vino rimane grande qualunque sia l’interpretazione e la lettura che ciascun vignaiolo ne dà. Un Taurasi rimane un grande vino qualunque sia l’interpretazione di chi concorre alla sua produzione: il contadino, l’agronomo, l’enologo, lo stile, la tecnologia e persino la posizione della vigna. E quando tutti questi fattori sono osservati, studiati, guidati da un abile regista, ecco che si grida al capolavoro.

È il caso di questo Taurasi Vigna Macchia dei Goti 2007 dell’azienda Antonio Caggiano di Taurasi, in provincia di Avellino, di cui dirò soltanto che è di nobile eleganza. Ma Taurasi, la città, è di per sé un gran teatro con quel largo viale che sale verso la rocca che viene usato e vissuto come fosse una piazza, cioè un palcoscenico ove viene messa in scena la vita quotidiana di questo antico borgo. E poi la cantina di Antonio Caggiano è come il magazzino teatrale di uno scenografo dove è possibile ritrovare le luci e gli oggetti di scena dei suoi viaggi, con i fondali e i volti che ha catturato in giro per il mondo.

Chissà come riesce a muoversi in questi ambienti Luigi Moio, il suo regista?

Gigi Brozzoni