Vi sono molti vitigni di cui non conosciamo completamente la reale identità e la migliore attitudine enologica. Siamo abituati ad avere alcuni modelli a cui ispirarsi e si pretende che ciascun vitigno si possa uniformare a questi esempi. Di conseguenza pensiamo che siano grandi vitigni esclusivamente quelli che reagiscono positivamente ai nostri standard produttivi, a volte slegati dal loro territorio d’origine e persino dalle terre sulle quali sono coltivati. Sappiamo invece che ci sono molti vitigni considerati minori solo perché, appunto, non rispondono ai requisiti enologici più comuni, che hanno grandi capacità d’espressione se coltivati e vinificati in modo originale, con un processo tanto appropriato quanto inusuale.

Prendiamo, per esempio, i tanti modi di appassire le uve e i tanti modi di vinificarle: scopriamo così che i grandi Vin Santo toscani sono ottenuti con uve come il Trebbiano che, vinificato tradizionalmente appena raccolto, riesce a dare buoni risultati solo eccezionalmente. E così l’Albana che pare possa dare risultati decisamente elevati solo con il contributo della Botritis Cinerea. Alcune Malvasia dall’aromaticità contenuta o addirittura dubbia, riescono ad esprimere una forte personalità solo con l’appassimento oppure con le lunghe macerazioni che, in alcuni ambiti culturali e produttivi, sono diventate quasi alla moda.

Anche l’Erbaluce, vitigno che abita quasi esclusivamente l’anfiteatro morenico di Ivrea, riesce a dare con la denominazione Caluso, solo discreti vini bianchi, oppure delle basi spumante un poco magre e aguzze. Se però lo si lascia appassire adeguatamente può produrre degli ottimi Caluso Passito di grande qualità e di inconsueta personalità. Oggi ci siamo aperti una mezza bottiglia di Caluso Passito Venanzia 2008 dell’Azienda La Masera di Settimo Rottaro in provincia di Torino.

La bottiglietta, che per sua foggia non ha una grande stabilità, contiene un vino decisamente consolidato su aromi di grande maturità e dolcezza. Il colore ambrato e quasi topazio dà una luce calda e confortevole, i profumi di frutti canditi, ma soprattutto di tamarindo e fichi secchi, sono intervallati da note di miele e fiori essiccati; il gusto si espande rapidamente in bocca con decisa dolcezza ma anche sferzato da una base acida che mantiene fresca e pulita la beva. In più, una sottile trama tannica di eccellente fattura mantiene a lungo il sapore e la consistenza.

È vino da centellinare, da gustare a piccoli sorsi; se volete con qualche dessert cremoso e persino con cioccolato, altrimenti bevetelo per se, da solo. Ci verrebbe da dire con un buon sigaro, ma se lo dicessimo infrangeremmo la legge che vieta la pubblicità del fumo, e allora ve lo consigliamo con una buona compagnia. Quella sì, è ancora permessa.

Gigi Brozzoni