Terra aspra e difficile. Isola rotonda, nome antico (στρογγύλη leggi strogyili, traduci rotondo). Sabbia nera. Se guardi i fianchi del vulcano, grande e vivo, puoi ancora riconoscere i segni dei vecchi terrazzamenti, non del tutto inghiottiti dalla scarna vegetazione: canne e ginestre. Guarda e pensa. Fare il contadino a Stromboli, cento anni fa, non deve essere stato solo questione di sopravvivenza ed immane fatica. Ci voleva passione. Per forza.
Un sincero e forse incosciente orgoglio: moltiplicare la vita in questo angolo di mondo estremo. Immagina. Acqua, poca, solo piovana. Vicino alle basse case bianche, alberi da frutto: susini, fichi, limoni, mandarini. Piccoli eroici orti. Olivi. E poi la vite. Viti in fondovalle e abbarbicate alla “montagna” (così qui tutti chiamano il vulcano, altrimenti detto “iddu” – lui) per dare un’uva faticosa e sudata. Era uva “passolina”, chicchi piccoli, da essiccare e vendere. Flotte di velieri mercantili, con armatori strombolani, andavano e venivano all’isola.
Economia fiorente, fino agli anni Venti. Spiagge nere su cui far seccare le uve. Anche l’uva Malvasia, che generava un vulcanico passito. Viaggiava il Mediterraneo, la malvasia di Stromboli, regalando sprazzi di calore e dolcezza. Era considerata la migliore di tutte le isole Lipari, per l’estrema concentrazione, i suoi intensi aromi e il colore ambrato scuro. Ma dov’è oggi?
Una vita a Stromboli, cominciata due volte
Salvatore Cusolito, strombolano di famiglia e di nascita, era partito ventenne per l’Australia. Dagli anni Trenta in poi la diaspora era stata inesorabile. Da Stromboli erano andati via quasi tutti. Eugenia, la sua fidanzata, strombolana anche lei, era già laggiù e lo sposa appena arrivato, per evitargli un vicino rimpatrio. Storie vecchie. Storie nuove. Emigrare è sempre una grande fatica. «Sono arrivato là e solo pescare sapevo. Ma mi hanno insegnato un mestiere. Facevo il saldatore».
Poi un problema serio di salute, al cuore, in seguito a un incidente sul lavoro. «Un professore mi disse: con questo cuore se vuoi campare te ne devi andare da dove te ne sei venuto. E così la mia vita a Stromboli è cominciata due volte». Non si è più mosso. Piano piano ha ricominciato a coltivare la terra, come facevano i suoi nonni e i genitori. Pescava, anche. Un po’ di tutto. Si è messo persino a fare il fornaio. Bisogna inventarsi le economie, a volte. E magari sono meglio di quelle imposte. Ma Salvatore aveva un tarlo: la malvasia.
Un goccio d’oro
Se la ricordava bene. «Da ragazzini u zu’ Tano, poi morto in Australia a 103 anni, ci chiamava per darcene un assaggio. Era buonissima. Sembrava che ci desse un goccio d’oro». Negli anni Settanta ormai la vigna di famiglia, abbandonata, si era inselvatichita. C’era bosco. Lui ha reimpiantato il vigneto, utilizzando le vecchie viti per gli innesti. Ha cominciato a vinificare. All’inizio anche sbagliando, aggiustando il tiro. Ma sempre avanti. Per accanimento, quasi. Ma forse anche per passione. Si percepisce, quando ne parla, minuziosamente: “ Verso il 10 settembre si vendemmia. Poi va al sole, ad essiccare, per un minimo di 25 giorni, sta sulle “cannucciate” a dieci cm da terra. Alla sera va messa al riparo. Sperando che non piova. Poi la raccolgo. Le vespe se la succhiano e mi pungono, ma per fortuna non mi dà fastidio. Poi la diraspo. Ho due torchi e la pigio, per due volte, alla fine esce a gocce.. Poi va in acciaio, prima con la botte aperta, la chiudo quando è finita la fermentazione, che è lunga. Il travaso lo faccio dopo tre mesi. Va in damigiana. Non ci metto nulla. Solforosa niente. Niente altro”.
La gioia te la dà certamente l’assaggio di questo vino. Che impone di dimenticare i codici troppo classici di un vino passito. A partire dal colore che è di caramello scuro, luminoso e lucido. Al naso sentori potenti di macchia mediterranea, addolcita da profumo di noce e melassa. In bocca è inizialmente scontrosa e pungente (il suo difetto, la sua unicità) ma poi esplode in pastosa albicocca secca, uva passa (!) con una virata in chiusura verso lo zenzero candito. Non è un vino perfetto. Che tacciano i manuali. È una malvasia contadina, prodotta senza alcuna tecnologia in cantina, che non conosce aggiustamenti di nessun tipo. Ma la sua potenza, l’irruenza dei profumi, la solidità degli aromi, è cosa unica. Emoziona davvero.
Quello che conta
Camminando le stradine di Stromboli, non si incontrano auto. Non è concesso che sbarchino sull’isola. E qui non ce ne sono. Solo qualche Ape per i trasporti merce e qualche piccolissima e silenziosa auto elettrica, tutta aperta, senza carrozzeria. Camminando nel silenzio accaldato del pomeriggio estivo, il cuore si stringe a incontrare piccoli appezzamenti con le viti ormai inselvatichite. Case ne hanno costruite parecchie, pur seguendo l’architettura originaria (qui grandi scempi non ci sono) ma la terra, si vede, la curano ormai in pochissimi. I limoneti, ad esempio, giacciono silenziosi, i rami carichi di frutti, che spesso cadono a terra a marcire, senza che nessuno li raccolga. «Con la terra oggi non ci si guadagna niente. Ci sono troppe altre cose, adesso. Ma io dico che la roba è inutile. Quando muori devi lasciare tutto qua (batte il dito sul tavolo con forza): su questa terra è quello che ci mangiamo che conta. Non esiste altro». Così la pensa Salvatore Cusolito, settantenne, l’ultimo a fare la malvasia a Stromboli.
«Qua nessuno fa più la malvasia. Non ci sono più le viti. Ma una volta era una distesa di vigne. Uva da mangiare, da vino». E continua: «Io con la campagna mi stanco. La campagna va curata, dà molto lavoro. Ma cosa vuoi fare qui altrimenti d’inverno? E poi non me la sento di abbandonare. Non me la sento». Abbiamo cercato, domandato, ma sembra davvero che la malvasia sia estinta.
Pane e vino
La malvasia di Cusolito è dunque un regalo, unico, di questa terra ai suoi visitatori. Se andate a Stromboli, cercatene l’assaggio. Potete chiedere a Caterina, la figlia di Salvatore, che assieme al fratello Antonio, porta avanti il panificio di famiglia dietro la chiesa di San Vincenzo. Antonio fa anche un pane con il lievito madre. Buonissimo. Dice Salvatore, che al forno ci va ancora a dare un mano, ogni mattina: «È una faticaccia fare quel pane. Alla gente piace. E anche a me piace. È un pane naturale. Non c’è niente di chimico. Acqua, sale, farina e u crescitu, che si tramanda».
E già che ci siete non perdete i biscottini al limone che Caterina fa con la ricetta di sua nonna. Non accompagnateli però alla Malvasia di suo padre. Quella va gustata, come avrebbe detto Veronelli, “per sé sola”, in pace. O magari, in assaggio attivo, con libera meditazione sulle potenzialità di un’alta e altra agricoltura, che rispetti e valorizzi l’ambiente, che offra nuovo lavoro e risorse. Piccola scala. Economia virtuosa. Che produca cose vere e buone, per chi ci vive. E anche da vendere altrove. O da gustare ed acquistare, per chi viene in visita a questa terra vulcanica. Una terra oggi troppo concentrata sul miope turismo generico e troppo poco su se stessa, la sua storia, il suo futuro. Ma le viti ci sono ancora, qua e là. E molte piccole e preziose coltivazioni sono possibili. La terra qui, trema, ma non scappa. Domani. Chissà.
Simonetta Lorigliola
SUGGERIMENTI E SUGGESTIONI (puramente personali)
senza indirizzo, l’isola è molto piccola e basterà chiedere
Cosa fare
1) Il bagno nell’acqua blu in una delle numerose calette a sabbia e roccia nera / Il periplo dell’isola in barca (a noleggio o giro organizzato) passando per la sciara del fuoco, meglio di notte per farsi folgorare dalle esplosioni-meraviglia del vulcano. Se di giorno prevedere una sosta a Ginostra e Strombolicchio.
2) L’ascesa al vulcano. Al cratere attivo. Si fa solo in cordata, con le guide autorizzate. Esperienza unica. Info in loco.
Dove alloggiare
La Casa del sole / Pensione Brasile / Pensione Miramare / Agriturismo Sole Mare (con prodotti locali in vendita: capperi, miele, marmellate…)
Dove mangiare
Punta Lena / La Locanda di Barbablù / Ai gechi / La Lampara (pizza) / Da Luciano (pizza)
Un buon gelato
Il lapillo gelato
Una buona granita (al caffè, con panna)
Al Canneto (anche ristorante)
Altre info www.eolieproloco.it