I tifosi dei due schieramenti rimarranno delusi, perché ieri sera lo scontro tra Brut e Extra Dry è finito nel più totale ed inoppugnabile pareggio. Nessun vincitore, quindi, nessuna supremazia e nessun trionfo. Il pubblico di ieri sera è stato messo a dura prova perché si è reso conto che con questi vini le differenze sono piccolissime, poco percettibili, e solo per riuscire a trovare il proprio vino preferito occorre assaggiare, riassaggiare, meditare e riprovare più volte per riuscire ad esprimere un giudizio che subito dopo si rimette in discussione.

Certo, la nostra selezione non ha favorito i degustatori perché abbiamo scelto case prestigiose quali Adami, Bellenda, Carpenè Malvolti, Col de’ Salici, Ruggeri; abbiamo scelto le loro migliori espressioni di Brut ed Extra Dry, restringendo di conseguenza lo spazio di differenziazione stilistica e qualitativa.
Ma c’è di più: occorre, infatti, riflettere un poco sulla questione del residuo zuccherino di questi vini, perché i temi che entrano in gioco sono tanti. Proviamo brevemente ad annotarli. Sappiamo che l’uva Prosecco (ora chiamata Glera per far posto al comune chiamato Prosecco che ha dato vita alla rinnovata Denominazione di Origine) contiene una buona quantità di zuccheri pentosi non fermentabili, nell’ordine di circa 15 o 20 grammi litro.

Conosciamo bene quanto sia elastica la differenza tecnica che esiste tra un Brut, che può avere fino a 15 grammi litro di zucchero residuo, e l’Extra Dry, che di zucchero può contenere tra i 12 e i 20 grammi. Vi è, quindi, un’area tra 12 e 15 grammi ove è possibile utilizzare indifferentemente l’una o l’altra categoria di gusto. Questo per dirvi quanto sia sottile e sinuosa la differenza tra le due categorie. Poi da una parte dobbiamo metterci che il gusto del consumatore moderno si va sempre più spostando verso gusti secchi, ritenuti più muscolosi/mascolini, a discapito dei gusti dolci o morbidi, ritenuti troppo delicati/femminili; dall’altra ci troviamo una ricerca biologica sempre più a caccia di lieviti aggressivi ed esuberanti, capaci di scalfire l’integrità degli zuccheri pentosi: basta che siano in grado di bruciare due o tre grammi di zucchero in più e si passa da una categoria all’altra.

Le aziende moderne hanno, quindi, il loro bel daffare a trovare le procedure enologiche ottimali per poter avere a proprio piacimento vini etichettabili come Brut o Extra Dry, con pochissimi grammi di differenza tra l’uno e l’altro e, di conseguenza, con gusti molto simili. Ecco perché i nostri degustatori si sono trovati in difficoltà nel trovare, prima ancora che giudicare, i vini più secchi o più dolci. E se loro stessi che hanno una qualche esperienza erano in difficoltà, figuriamoci cosa può succedere ad un ignaro consumatore di fronte al dilemma, non sempre rilevato per la verità, tra Brut ed Extra Dry. Primo perché letteralmente i termini non hanno un significato preciso, tanto che extra dry dovrebbe significare molto secco, mentre invece indica un vino più dolce; poi per il fatto che la parola brut è spesso associata a vini spumanti di nobile lignaggio: capite, insomma, come la confusione possa diventare così alta da farsi sublime.

Ma allora che hanno detto i nostri bravi e indaffaratissimi degustatori? La prima linea del pareggio è data dal Valdobbiadene Prosecco Superiore Extra Dry Selezione Giustino B. di Ruggeri e dal Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Brut San Fermo di Bellenda, entrambi del 2011 (quindi pari e patta anche tra Valdobbiadene e Conegliano). La seconda linea, cioè quella che pensavamo potesse decretare un vantaggio per una delle due categorie, è stata invece del tutto speculare alla prima; anche qui un sostanziale pari e patta ottenuto, tra l’altro, dalla casa più storica, vale a dire la Carpenè Malvolti con il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Extra Dry Cuvée Storica e il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Brut Cuvée Storica.

I nostri complimenti a tutte le aziende e a tutti i loro vini, ma alla fine, stremato, dopo tanti pareggi mi sono ascoltato Il Rigoletto di Giuseppe Verdi fino a quando il Duca di Mantova intona  “Questa o quella per me pari sono”: ho capito che era ora di andare a dormire.

G.B.