Non potevo perdermi un evento del genere e sono corso ad Alba, di buon’ora, per godermi la Laurea di Bruno Giacosa. Con un gesto di assoluta genialità, sensibilità e lungimiranza, infatti, l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo ha conferito la Laurea Honoris Causa in “Promozione e Gestione del Patrimonio Gastronomico e Turistico” a Bruno Giacosa.

Sul palcoscenico del Teatro Sociale di Alba il corpo accademico schierato al completo, con tanto di toga dai risvolti arancio, ha creato un ambiente quasi irreale, magico e suggestivo nel quale si sono avvicendati gli interventi che la prassi prevede. Il professor Nicola Perullo ha esposto le motivazioni della Honoris Causa sottolineando i valori di artigianalità, di sentimento di comunità e di imprenditorialità d’eccellenza che hanno guidato l’opera di Bruno Giacosa.

Il Magnifico Rettore Piercarlo Grimaldi ha contestualizzato il valore culturale del lavoro di Bruno Giacosa e gli ha consegnato il Diploma di Laurea. La Lectio Magistralis dell’ottantatreenne neolaureato è stata letta, magistralmente, da Vittorio Manganelli. Dopo la parte ufficiale sono seguiti gli interventi di Angelo Gaja, che ha calorosamente definito Bruno Giacosa il più grande dei vignaioli di Langa, e le conclusioni di Carlo Petrini, che ha inquadrato questa Laurea Honoris Causa nel più ampio contesto delle attività accademiche che l’Università di Pollenzo si appresta a promuovere nei prossimi anni.

Tante belle parole, appassionate ed emozionate, ma noi vorremmo concludere con le parole di Luigi Veronelli scritte per Panorama n. 644, 22 agosto 1978.

«Vedi Bruno Giacosa e il suo Barbaresco cru Santo Stefano di Neive 1971. Assaggiato, riassaggiato più volte nella botte, ne avevamo timore: grosso, denso, abboccato. Bruno scuoteva il capo, ci s’arrabbiava sopra: troppo ricco, sarebbe mai riuscito a dargli controllo e rigore? Le uve – ripeto: del vigneto Santo Stefano di Neive vendemmia 1971 – gli erano giunte in cantina per la pigiatura con una gradazione di 24-25 «babo». Avevano fermentato due mesi a una temperatura di 30-32 gradi. Alla svinatura, poco prima di Natale, s’era trovato un vino che sembrava «abbastanza» secco. Al primo travaso di primavera era incominciata la fermentazione malolattica e si presentava all’assaggio come un grandissimo vino ma con un marcato sapore di dolce. Lo aveva fatto analizzare: 15 gradi di alcol e 1 grado abbondante di «baume».

Quel gusto dolce a contrastare la sicura grandezza fu per Bruno come un tradimento. Malabiò, smangiò rabbia, non si diede per vinto. Sette anni l’ha seguito con cura e pazienza certosina; sette anni gli ha parlato; a ogni ora è intervenuto con mille accorgimenti e convinzioni. Lui ci si è fatto i capelli bianchi, il vino secco e con profumo e corpo eccezionali. Una parte di questo vino è andata in bottiglia (solo tre mesi fa: a ogni ascolto ne sono affascinato, e neppure è al cinquanta per cento di sua bontà e completezza).
Bruno tiene la rimanenza ancora in botte, qualche anno, «come riserva».
Scuote ancora (da buon langarolo) la testa e, in positivo-negativo, afferma: «Un vino simile non si farà mai più».

Caro Dottor Bruno Giacosa, spero di re-incontrarLa presto. Anzi, prestissimo.

G.B.