Non vi tedierò con commenti del dopo Vinitaly, ma auguro a tutti voi che vi sia stato utile, dopo tanti anni in cui l’utile lo faceva solo l’ente Fiera di Verona. Non vi racconterò neppure dei pochi vini che ho degustato durante il Vinitaly, nonostante vi siano state alcune perle di sorprendente splendore. Non farò finta di riportare i commenti dei produttori, degli operatori, dei giornalisti, perché sono indignato. Fortemente indignato.

Sono indignato perché durante questo Vinitaly nessuno ha spezzato una lancia, nessuno ha speso un fiorino in favore della ristorazione italiana, la quale sta vivendo, suo malgrado, uno dei peggiori periodi della sua storia. La ristorazione seria sta soffrendo dopo essere stata incoraggiata e poi blandita dai critici gastronomici a prendere le strade più vacue e fatue dell’immaginario e dell’immaginifico concepibile. Le aziende hanno acceso ceri a tutti i santi per riuscire ad entrare nelle carte dei vini dei templi della cucina snaturalizzata, idiota e telegenica, ma santificata dalla critica commerciale.

Ora che le tasche degli italiani sono vuote, e non certo per colpa dei ristoratori, tutti a dargli addosso dicendo che i loro ricarichi sono esorbitanti, che hanno tirato troppo la corda, che se lo dovevano aspettare, che se lo sono meritato. Bene, aspettate solo che i ristoratori a loro volta facciano un po’ di conti alle aziende e di quanto costavano a loro i vini che tutti hanno cercato di piazzare ad ogni costo nelle loro carte. E allora ne vedremo delle belle.

Ora tutte le aziende assicurano che loro sono solide perché lavorano principalmente con l’estero, che la loro migliore produzione varca le frontiere, che solcano i mari e i cieli d’oriente e d’occidente dell’emisfero boreale ed australe. E che, quindi, dei problemi della ristorazione italiana non gli importa nulla. Come sempre tutti pronti a salire sul carro del vincitore e ad abiurare amicizie, confidenze e complicità. Tutti pronti a rimuovere i ricordi, le battaglie e i conflitti per portare il buon vino italiano sulle tavole degli italiani.

Ora sono tutti orgogliosi di guardare all’estero, dove il vino viene venduto a prezzi ben più alti dei nostri, dove la qualità dei prodotti è una chimera, dove si spaccia per italiano ciò che l’Italia non ha visto nemmeno in cartolina. Che si abbia almeno il coraggio di pensare che se è vero che nessuno è profeta in patria dei Nazareni non ce ne importa nulla, mentre il soggetto di questa locuzione pare abbia avuto un certo successo.

Non voglio augurare a nessuno che il mercato estero si possa contrarre, ma auspico un deciso ripensamento sulla ristorazione italiana, sulla funzione che ha avuto nella diffusione e nella conoscenza del grande vino italiano, sul ruolo che ha avuto nel decretare i maggiori successi dell’enologia italiana di tutte le regioni, province e comuni. Fate in modo di non dovervi pentire delle vostre scelte scellerate e cercate di avere un occhio di riguardo verso chi ha contribuito alla vostra ricchezza, al vostro successo, alla vostra fama.

Ricordate che quando andate negli Stati Uniti o in Giappone in business o in prima classe, quando frequentate i più esclusivi hotel del mondo, state spendendo i denari che vi ha dato, giustamente e doverosamente, il ristoratore dietro casa vostra, quello nella piazza del paese, quello che vi ha telefonato senza neppure conoscervi, quello che vi ha raccontato a centinaia di persone provenienti da tutto il mondo, quello che ha acceso l’entusiasmo in mille appassionati fedeli e devoti. Non dimenticate la storia, la vostra storia, la vostra vita.

Voglio fare un brindisi strepitoso e assordante alla ristorazione italiana, alla grande ristorazione italiana.

G.B.