La premessa
“La certezza del diritto” è uno dei concetti che più mi hanno colpito da quando mi occupo di vino. Lo proferì Calogero Mannino, allora Ministro dell’Agricoltura, nel corso di un convegno da noi organizzato al Vinitaly sui temi di legislazione vitivinicola. Da sempre questo concetto è stato alla base di ogni nostro ragionamento sul complesso di leggi e norme che governano la produzione di vino in Italia e nel Mondo.
La scoperta
Che Asti non potesse produrre Asti è stata una scoperta così sconcertante che inizialmente abbiamo pensato ad una burla; come se venissero a dirci che a Barolo non si potesse produrre Barolo, che a Soave non si potesse produrre Soave, che a Taurasi non si potesse produrre Taurasi. E invece è vero. Anzi, peggio. Perché da ora l’Asti ad Asti “non s’ha da fare, né oggi né mai”.
Le origini
Tutto inizia nell’agosto 1967, quando viene approvata la Doc Moscato d’Asti e Asti (Spumante) con il relativo Disciplinare di produzione; nell’articolo che delimita la zona di produzione, il comune di Asti non viene inserito, perché la città, che in quel momento storico guardava più alle prospettive industriali che a quelle agricole, non poteva immaginare che le cose sarebbero notevolmente cambiate cinquant’anni dopo ed inoltre i pochi vignaioli che avevano vigne nel comune di Asti mai si sono preoccupati di essere inclusi o esclusi dalla produzione di Moscato e tanto meno se ne preoccuparono le loro organizzazioni di categoria.
Il percorso normativo
Nel corso degli anni la Doc Moscato d’Asti viene modificata numerose volte fino al passaggio alla categoria Docg che avviene nel novembre 1993 e che non modifica nella sostanza il Disciplinare di produzione del 1967, quindi Asti continua a rimanere esclusa dalla zona di produzione di Asti. È del 2002, invece, la determina 173 della Regione Piemonte, che blocca l’aumento degli ettari vitati della Docg delle tre province interessate, ovvero Alessandria, Asti e Cuneo. Tradotto in termini pratici significa che chiunque voglia iscrivere un ettaro di vigna alla Docg dovrà acquistarne il diritto di reimpianto da chi è disposto a espiantare la propria vigna, contro il pagamento di una quota che è partita da circa 30.000 Euro ad ettaro è ora arrivata a quota 50 mila.
Il peccato originale
Presso l’azienda Castel del Poggio, 152 ettari in comune di Asti, Gianni Zonin pianta 20 ettari di Moscato Bianco, ma per poterli iscrivere alla Docg ha bisogno che il disciplinare di produzione incorpori il comune di Asti tra quelli autorizzati. A tal fine contatta l’allora Ministro dell’Agricoltura Paolo De Castro il quale, cercando di imitare il Giovanni Goria che in dirittura d’arrivo del governo nel 1992 fece approvare in fretta e furia la nuova legge 164 sulle Doc, inserì nel maggio 2008 un decreto legge che ampliava l’area di produzione dell’Asti ad Asti. Contro questo improvvido provvedimento ricorrono al Tar del Lazio i Produttori Moscato d’Asti Associati, chiedendone la sospensione. Ma il Tar respinge la domanda e i Produttori Moscato portano la questione al Consiglio di Stato il quale, non sapendo che pesci pigliare, si rifugia in un provvedimento a tempo, limitando il divieto di produzione solo “nella presente annata”. Nel frattempo gli intrepidi Produttori Moscato ricorrono anche contro la decisione del Tar, che nel febbraio 2009 annullerà definitivamente il decreto ministeriale di De Castro.
Il delirio
«Un risultato che premia la sua determinata difesa degli interessi agricoli e dell’intera economia del Moscato»: così si espresse l’associazione Produttori Moscato d’Asti all’indomani della seconda sentenza del Tar. Forse dimentichi che si trattava di 20 ettari sugli oltre diecimila dell’intera Denominazione, vale a dire lo 0,2%. Come questa briciola potesse compromettere gli equilibri e gli interessi dei coltivatori ci risulta difficile capire. Forse che gli impavidi Produttori Moscato in questo modo intendessero tenere lontano il diavolo Zonin dalle acquesante del Moscato, distratti o dimentichi del fatto che Zonin produce già Asti (300.000 bottiglie) e Moscato d’Asti (180.000 bottiglie), rigorosamente Docg, dalle sue tenute piemontesi? Poiché non crediamo ci siano tanti sprovveduti nell’ambiente del Moscato, appare chiarissimo che i motivi di tanto accanimento devono essere cercati altrove. E allora andiamo a cercarli.
Numeri. Sempre numeri. Stramaledettamente numeri
Per prima cosa chiariamo che il giochino dei diritti di reimpianto, 50mila moltiplicato per 20 ettari, fanno un bel milioncino di Euro, e un milioncino di Euro sappiamo che non sono bruscolini. I maligni/uno sostengono che il peccato originale di Zonin e De Castro fu commesso per evitare di spendere questo denaro. I maligni/due sostengono, invece, che qualcuno aveva sperato di espiantare degli scassati e improduttivi vigneti pianeggianti e di venderne i diritti alla bella sommetta di 50.000 Euro per ettaro, perché anche 50.000 Euro per ettaro non sono bruscolini. Ma… c’è sempre un ma, anche con i numeri; anzi, ce ne sono due. Primo ma: entro la primavera prossima verrà ultimata la misurazione effettiva, supportata dalla precisione delle fotografie aeree, dell’intero vigneto di Moscato Docg delle tre province e tutti sanno ormai che il totale risulterà ben al di sotto del limite che la Regione aveva fissato nel 2002, in tempi di eccedenza produttiva, per cui, con tutta probabilità, dalla primavera 2012 non sarà più necessario pagare diritti di reimpianto fino al raggiungimento del tetto massimo fissato, in quanto attualmente la domanda di Moscato da parte dei mercati internazionali è nettamente superiore all’offerta; di conseguenza, non aspettereste voi tutti la prossima primavera per risparmiare, senza colpo ferire, un bel milioncino di Euro? Si potrebbe obiettare che non sarebbe proprio “senza colpo ferire”, perché quello o quelli (parafrasando potremmo chiamarli i “furbetti del moscatino”) che si aspettavano i famosi 50mila per ettaro vedrebbero svanire in un batter d’occhio il loro sogno di gloria (bancaria); o, se preferite, Babbo Natale che si è dissolto nel nulla. Secondo ma, che ha persino del clamoroso: il direttore del Consorzio Tutela dell’Asti, Giorgio Bosticco, ci informa che non c’è mai stata intenzione da parte di Gianni Zonin di negare un suo impegno economico a favore del territorio astigiano, tanto che si è progettato di finanziare, con quel milioncino di Euro, una campagna promozionale della durata di tre anni a favore dell’Asti e del Moscato d’Asti nel mondo. La notizia ci è stata fermamente confermata dallo stesso Zonin. Solo che, a chi aveva pensato di sbarazzarsi del o dei suoi vigneti di Moscato, che gliene importa della promozione del Moscato nel Mondo?
Alla riscossa
Non certo domato, Gianni Zonin rilancia la sua richiesta di inserimento di Asti nel territorio dell’Asti trovando due alleati formidabili: il professor Lorenzo Corino, direttore dell’Istituto Sperimentale di Viticoltura di Asti, che, dopo un approfondito studio pedo-geologico dei territori di Asti, afferma come vi siano ottimi ambienti idonei alla coltivazione di Moscato, con eccellenti risultati qualitativi, smentendo così tutti quelli che sostenevano, per partito preso e senza un minimo di scienza, che i terreni di Asti non fossero adatti alla viticoltura, negando così l’evidenza che le colline astigiane si formino proprio in territorio di Asti. Il secondo alleato è Giorgio Galvagno, sindaco di Asti, che caldamente appoggia la richiesta di ammissione di Asti all’Asti Docg. Con queste argomentazioni, e seguendo le corrette procedure burocratiche, viene chiesto al Comitato Nazionale Vini l’approvazione della modifica del Disciplinare di Produzione dell’Asti e del Moscato d’Asti.
La nuova legge 61
Siamo giunti all’8 aprile del 2010, quando arriva il Decreto Legislativo n. 61 che recepisce i nuovi orientamenti della Comunità Europea in ambito vitivinicolo. Il primo comma dell’articolo 4 recita così: «Le zone di produzione delle denominazioni di origine possono comprendere, oltre al territorio indicato con la denominazione di origine medesima, anche territori adiacenti o vicini, quando in essi esistano analoghe condizioni ambientali, gli stessi vitigni e siano praticate le medesime tecniche colturali ed i vini prodotti in tali aree abbiano uguali caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche.» Rileggete bene queste poche righe, perché dietro questa apparente convenzionalità del tema si nasconde un concetto rivoluzionario per l’Asti. C’è scritto che senza Asti non esiste la denominazione Asti. C’è scritto che se c’è Asti ci possono essere i territori adiacenti o vicini, ma senza Asti non c’è nessun territorio. Ebbene, cosa pensate abbia fatto il Comitato Nazionale Vini? Pensate che si sia posto il problema di adeguare i disciplinari di produzione alla nuova normativa generale? Assolutamente no. Anzi. State a sentire.
Chi perde vince, chi vince perde, fate il vostro gioco
Non siamo più in ambito storico, siamo alla cronaca. Arriva il giorno della votazione della richiesta di modifica del Disciplinare di Produzione della Docg Asti e Moscato d’Asti; siccome si sospetta che i componenti del Comitato Nazionale Vini e il Presidente Giuseppe Martelli possano essere sottoposti a tensioni e pressioni esterne optano per la votazione segreta al fine mettere tutti i membri a loro agio; naturalmente tutti sanno che questa votazione prevede un quorum di ¾ dei votanti e tutti sanno che questo è un legalissimo escamotage per bocciare qualsiasi richiesta. Dei 31 presenti le schede votate risultano: 22 sì, una nulla, 8 no. Chi vince? Gli 8 no, naturalmente. Il gioco è fatto.
Una domanda inquietante
I membri e il Presidente del Comitato si sono accorti che, agendo su mandato del Legislatore, si sono opposti alla legge del Legislatore? E il Legislatore si è accorto di aver nominato dei membri e un Presidente di Comitato che si oppongono al suo volere di Legislatore?
Ai posteri l’ardua sentenza?
Ma manco per niente. Perché il tempo a nostra disposizione è scaduto. Il Comitato Tutela Vini ha esaurito il suo compito ed ora le competenze per la gestione delle Denominazioni di Origine Protetta passano direttamente alla Commissione Europea. La quale appena si troverà sul tavolo un ricorso contro il disciplinare di produzione della Dop Asti e Moscato d’Asti non potrà fare a meno di cancellare, depennare, annullare la Denominazione intera, perché mancante del requisito principale, ovvero di quel “territorio indicato con la Denominazione di origine medesima”.
Per concludere, che si è fatto tardi
Che straordinario Paese è l’Italia e che straordinario popolo è il nostro! Nonostante si sia governati e amministrati in questo modo continuiamo ad essere la settima potenza industriale al mondo e la prima o seconda (il dibattito è ancora aperto) potenza vitivinicola al mondo. Qualche volta, però, ci facciamo prendere dallo sconforto e ci ritorna in mente un vecchia favola, chissà da chi inventata, se mai qualcuno l’avesse inventata: narra di quel segretario comunale, o qualche cosa di simile, di una piccola città francese appena finita la Rivoluzione del 1789. Il boia, terminato il suo gravoso e truce compito, si apprestava a riporre, debitamente smontata, la ghigliottina nel sottoscala del palazzo comunale. Al che gli si avvicinò il segretario che gli disse: «Ora la riponiamo, ma tienila sempre oliata, perché non si sa mai cosa possa succedere un domani».Capisco che ai più questa storiella della Rivoluzione Francese possa sembrare un po’ troppo greve e lugubre e allora ve ne racconto un’altra, anch’essa, però, di origine ignota. Narra di un valente funzionario del Cremlino che un giorno si trovò sulla scrivania il messaggio di recarsi urgentemente a Dudinka, Siberia nord orientale per una missione della massima importanza e segretezza. Il nostro solerte funzionario si recò alla stazione ferroviaria di Mosca e si diresse alla biglietteria scegliendo lo sportello meno affollato. Dopo più mezz’ora di coda, dall’impiegato allo sportello gli venne spiegato che per il biglietto per quella località doveva recarsi allo sportello 124 bis, in fondo alla sala. Non c’era coda a quello sportello, ma un cartello non molto in vista avvertiva: biglietti di sola andata.
G.B.
p.s. Inutile dire, naturalmente, che siamo disponibili ad ospitare, ma non in forma anonima, precisazioni, chiarimenti, integrazioni e novità, soprattutto se supportati da documenti, da parte degli interessati o di chiunque si sentisse in qualche modo chiamato in causa.
I commenti a Storie di ordinaria follia
Da un informazione di prima mano vengo a sapere che Vittorio Vallarino Gancia nell’assemblea del consorzio si sia pubblicamente scusato perché, n anni fa, nello scegliere il nome della denominazione, optarono per Asti invece che Canelli per onorare il capoluogo di provincia. Errore di un savoiardo che credeva nelle istituzioni! E adesso sembra vero che Asti abbia dei diritti. forse un intervista a Vittorio Vallarino Gancia che ha vissuto quei tempi farebbe lumi sulla storia italiana (del vino italiano) dove spesso l’ingenua buona fede causa più danni dell’ignoranza.
saluti
Saverio Petrilli
Ciao Gigi,
sei elegante e molto puntuale, ti leggo sempre piacevolmente pensando a quante emozioni ha seminato Veronelli.
E va bene, ma questa volta sei stato magistralmente più grande perchè lo humor è vita,ossia una necessità.
Potrei raccontarti episodi a corredo del tuo narrare, ma preferirei magari venire a trovarti o trovarci da qualche parte
vicino ad un bicchiere, aiuta quasi sempre.
Lorenzo Corino, CRA Centro di Ricerca per Viticoltura ed Enologia – Asti
Caro gigi
con termini precisi, un poco burocratici, sono stati ripetuti gli avvenimenti che in questi anni hanno proposto un dibattito non sempre virtuoso attorno all’Asti docg.
Gli esperti si sono avventurati a descrivere i territori vocati al moscato, quasi sempre escludendo il territorio del comune di Asti, storicamente (dai più) non considerato adatto a fornire qualità per questa produzione.
Perchè, ci si stupisce se sul il territorio del comune di Asti non si può ottenere la docg per il Moscato?
Quando la doc dell’Asti nacque, non venne a nessuno in mente che il comune di Asti dovesse essere preso in considerazione, per il semplice motivo che su quel territorio non c’era un solo vigneto di moscato, e tutti erano convinti che fosse un territorio non vocato a quella varietà d’uva.
Successivamente, quando nell’azienda di Portocomaro Zonin impiantò i vigneti di uva moscato, sorse il problema.
Credo, che occorra molta attenzione nel valutare l’attuale situazione, e sono certo che il Consorzio dell’Asti si sarebbe interessato di meno se dietro questa richiesta ci fosse un piccolo e sconosciuto produttore.
Comunque, sono tra coloro che nel Comitato Vini della regione Piemonte hanno votato parere negativo all’allargamento della docg al comune di Asti, nella convinzione che i produttori di Canelli, di Strevi, di Loazzolo e di tutti i territori inseriti nell’attuale disciplinare della docg, produttori che hanno fatto la storia di questo vino debbano essere difesi sia nei loro interessi economici, sia per la loro storia e la loro cultura.
Carlo Ricagni