Lo ricordo ancora nettamente l’Etna –  la Montagna, come lo chiamano i siciliani – dal viaggio compiuto la scorsa primavera, con la sua cima imbiancata, la lunga scia di fumo tesa verso sud. E ricordo molto bene il colore della sua terra che, staccandosi dalla piana di Mascali (con l’accento tonico sulla prima a, come mi ha fatto osservare un siciliano), parte molto chiaro come la cenere, ma salendo sulla via per Castiglione di Sicilia, curva dopo curva, tornante dopo tornante, si fa sempre più scuro fino a diventare nero come il carbone.

Su queste terre a quote prossime agli 800 metri di altitudine troviamo terrazzamenti e balze con muri a secco, aspri e spigolosi, sui quali poggiano vecchi vigneti ad alberello di Nerello Mascalese (da Mascali) e anche qualche ceppo di Nerello Cappuccio, così chiamato per quell’affastellamento di tralci che ricopre la cima. L’aria è sempre tesa, nitida, e il calore, anche quello estivo, è sempre striato da brezze che portano frescura verso sera e soprattutto la notte. Così l’uva matura bene e conserva tutta la sua preziosa carica aromatica.

Una viticoltura arcaica ora riscoperta e portata alla ribalta da impostazioni agronomiche esigenti e rigorose, da scelte enologiche semplici che mettono in risalto la fragranza, la leggerezza, la nitidezza dei profumi e dei sapori delle uve. Una viticoltura controcorrente che non mette al centro dell’attenzione il vitigno, ma la specificità dei luoghi. Sembra di essere nelle Langhe, dove ogni collina, ogni versante, ogni vigneto ha un suo specifico nome; oppure in Borgogna, dove le pratiche enologiche sono così comuni da non diventare argomenti di discussione, lasciando ai diversi cru il compito di esprimere carattere e personalità singolari.

Ieri sera al Seminario Veronelli sono bastati otto vini per saturare l’aria della nostra sala da degustazione di aromi di fiori dolci e soavi, glicine e lillà, di frutti fragranti, fragola e lampone, di note fresche di menta e piccanti di pepe. Son bastati i primi sguardi per notare il colore rubino chiaro e lucente; sono bastati i primi assaggi per cogliere la succosità del frutto appena colto spinto da una schietta acidità e da una tannicità di finissimo spessore e fittissima trama, carezzevole e dinamica. Sorprendente la bevibilità che invoglia ed incita al riassaggio.

Tra gli otto vini in degustazione si è subito capito che due campioni stavano rapidamente catturando l’attenzione del nostro fidato pubblico: l’Etna Rosso Caldera Sottana 2010 di Tenuta delle Terre Nere (Randazzo) ed il Contrada P (Porcaria) Sicilia Rosso 2010 di Passopisciaro (Castiglione di Sicilia) hanno, infatti, monopolizzato i commenti finali, stagliandosi al di sopra di tutti gli altri squisiti vini.

La cronaca dettagliate della serata con le analisi di ciascun vino la troverete, come tradizione vuole, sui prossimi numeri de Il Consenso.

G.B.