Forse non li avrà mai usati per la messa – fu dispensato dall’obbligo di celebrarla per congeniti, gravi problemi di salute – ma è molto probabile che Antonio Vivaldi conoscesse bene i vini di quelle “vigne murate” di cui ancor oggi sono visibili i resti su molte isole della laguna veneta. Nato e cresciuto a Venezia, sestriere di Castello, il “prete rosso” (quanto a capelli, naturalmente) assunse nel 1703 l’incarico d’insegnante di violino presso l’Ospedale della Pietà, istituto dedito all’accoglienza delle orfane alle quali era impartita un’educazione musicale di altissimo livello. Per le “figlie di coro” Vivaldi scrisse, in più di trent’anni di collaborazione, numerosissimi concerti, cantate e musiche sacre.

L’impegno della famiglia Bisol – marchio “globale” del Prosecco, con 177 ettari coltivati a Valdobbiadene, di cui 3 sulla collina di Cartizze – nel recupero della tradizione vitivinicola della laguna ha inizio nel 2002, quando l’azienda trevisana ha avviato un progetto di ricerca sulle varietà autoctone di quelle terre rubate al mare. Dal 2007 il rapporto tra i Bisol e Venezia si è fatto ancora più stretto, avendo ricevuto l’incarico da parte del Comune di riqualificare e gestire la Tenuta Scarpa-Volo a Mazzorbo, isola che con Burano e Torcello compone Venezia Nativa, il più antico insediamento nella laguna.

Per rilanciare la secolare attività di produzione vitivinicola dell’isola, Gianluca Bisol in un ettaro di terreno protetto da alte mura ha scelto d’impiantare la dorona, uva a bacca bianca con duplice attitudine, coltivata a Venezia dal Quattrocento sino al 1966, quando un’alluvione devastò le aree agricole della laguna. Nella maggior parte dei casi i vigneti furono reimpiantati con varietà internazionali e la sopravvivenza dei vitigni tradizionali fu così messa a rischio.

Oggi, dopo anni di lavoro, dalla dorona coltivata sull’isola di Mazzorbo nasce Venissa, un vino di grandissimo fascino. La vinificazione, curata da Desiderio Bisol e Roberto Cipresso, ha previsto un mese di macerazione sulle bucce che ha dato al vino un colore intenso, d’oro antico. Al naso ha tutta la complessità dei vini di buccia: frutta secca, nocciola tostata, caramello, fiore di tarassaco, carrube, ma anche erbe aromatiche, note iodate e scorza d’arancia. In bocca è di grande sapidità, vivo e bevibile, con una bella chiusura moderatamente acida e tattile, una persistenza di spezie e uva passa.

Le vicende storiche, il lavoro, la creatività lasciano tracce misteriose nella terra. Nel 1727, anno inciso sulle mura della Tenuta Scarpa-Volo, Vivaldi era nel pieno della maturità e già aveva pubblicato alcune delle sue composizioni più celebri. Saranno il crescere e il calare delle acque, ben noti al compositore, agli apparati radicali delle vigne di Mazzorbo e così simili alle alternanze della forma concerto, sarà perché lasciandosi risuonare dal Venissa 2010 come da “Il cimento dell’armonia e dell’inventione” si è presi dalla meraviglia per il concatenarsi precipitoso delle sensazioni, sarà perché di quel vino, di quella musica colpiscono l’energia dei profumi e dei suoni più che la quadratura matematica delle frasi…

Quale che sia il motivo, viene il sospetto che proprio un vino da uve dorona abbia ispirato a Vivaldi il sonetto dei dormienti ubriachi per “Le quattro stagioni”.
Per concedersi dieci minuti d’autunno, ecco il seguente link:
http://www.youtube.com/watch?v=zqx37cBz_no&playnext=1&list=PL365084626DF9D28F

Andrea Bonini