Se ne sta sempre un po’ da parte, come se non volesse disturbare; ha un carattere timido e riservato e non ama mettersi in mostra. Per due mesi all’anno è al centro dell’attenzione vacanziera e questo sembra che le basti. Ma non basta a noi, che sappiamo quali eccellenze possa vantare e ci dispiacciamo del fatto che in realtà ben pochi lo sappiano, pochi possano condividere i piaceri che i vini sardi sanno dare.

È una viticoltura arcaica che è sempre riuscita, seppure con qualche fatica, a mantenersi al passo con i tempi preservando un patrimonio colturale ed ampelografico straordinario. È anche vero che questa sua capacità di conservare le tracce del suo passato è molto legata al fatto di essere isola e, quindi, per definizione “isolata” dal resto del continente, il quale, invece, è stato attraversato costantemente da popoli, culture, mode e tendenze che qualche volta hanno cancellato ciò che doveva essere tutelato.

La Sardegna del vino (che è ben diversa dalla Sardegna delle coste e del mare) mantiene, dunque, un paesaggio naturale di grande bellezza ed integrità, sia per quanto riguarda ciò che abbiamo sotto i piedi, il suolo e la terra, sia a proposito di ciò che abbiamo sopra la testa, l’aria e la luce; mantiene una viticoltura antica che si è leggermente adeguata alle esigenze del lavoro moderno, introducendo la meccanizzazione ma lasciando quasi inalterate le forme di allevamento delle viti; ha mantenuto intatto un ricchissimo patrimonio ampelografico costituito da vecchie varietà, frutto del minuzioso lavoro di incrocio e selezione degli antichi viticoltori, ha accolto nuove buone varietà che venivano dalle culture dominanti nei secoli passati e non si è lasciata sedurre troppo dalle sirene dei vitigni internazionali; ha modernizzato e razionalizzato le procedure enologiche al solo fine di mantenere più evidenti e longevi i caratteri organolettici dei suoi vini.

Ma di questo straordinario patrimonio pochi se ne sono accorti e la viticoltura sarda negli ultimi cinquant’anni ha perso più della metà del suo potenziale produttivo; soltanto negli ultimi dieci anni la sua superficie vitata è scesa sotto i 30 mila ettari e la produzione vinicola è passata da 950 a 450 mila ettolitri. Eppure la qualità dei vini sardi è cresciuta enormemente e meriterebbe ben altra visibilità, tanto sui mercati del nostro Paese quanto su quelli internazionali.

Ieri sera abbiamo voluto illustrare una panoramica della produzione di vini rossi, che tra l’altro sono quelli che soffrono maggiormente di questa disattenzione, dividendo i quindici campioni che avevamo a disposizione in tre gruppi: i vini a base Carignano, quelli a base Cannonau e i vari uvaggi, anche con alcune varietà autoctone pressoché sconosciute come bovale, cagnulari, nieddera, caddiu e altre ancora.

Il pubblico, letteralmente sorpreso dalla forte personalità dei vini, dal loro grado di eleganza e di qualità complessiva, ha posto l’accento sui tre vini che hanno particolarmente brillato nelle rispettive classi: il Carignano del Sulcis Superiore Terre Brune 2008 della Cantina di Santadi nell’omonimo comune, poi il Cannonau di Sardegna Riserva Keramos 2008 delle Tenute Soletta a Codrongianos e, per finire, il Turriga Isola dei Nuraghi 2008 di Argiolas a Serdiana. Ma tutti i vini assaggiati, e lo sottolineiamo con forza, si sono rivelati di una categoria superiore a qualsiasi ottimistica previsione.

Non tarderemo a darvene cronaca dettagliata sul numero de Il Consenso che uscirà in prossimità del Vinitaly 2013.

G.B.