Coloro che per lavoro devono spostarsi spesso e su lunghe distanze hanno senz’altro avuto modo di riflettere sull’importanza che durata e assiduità di frequentazione hanno nel determinare la profondità del nostro fare esperienza di un luogo. Nascere in periferia o in un piccolo comune è condizione sufficiente ad instillare il desiderio del viaggio, essere costretti, di contro, a veloci e continui spostamenti invita a trovare un equilibrio tra l’ampiezza del territorio e, appunto, la profondità con cui lo si conosce.

Per gli enofili Canelli è ancora “la porta del mondo” di Cesare Pavese, da attraversare, però, in senso opposto al suo, verso il mondo magico della Langa. Il belvedere di La Morra e i ravioli del plìn, il bollito misto e la chiesetta di Santo Stefano di Perno, il vero vitello tonnato e la torre di Barbaresco, la pasta di Mauro Musso e il Talloria, la bagna cauda, i tartufi, la cognà, la finanziera, il bunet e, naturalmente, le persone, le vigne, le bottiglie che una frequentazione assidua ha fatto intime, ha reso parte di noi.

Risiedere per qualche mese nelle colline del Chianti e poterle percorrere lasciandosi guidare dalla curiosità può essere l’occasione – lo è stata per me – per rifarsi di quei luoghi da cui troppo in fretta ci si è dovuti separare. Addentrarsi in un “nuovo” terroir, studiarne i vini, lasciare che il suo paesaggio ci diventi familiare aggiunge esperienza all’esperienza e addestra ad un’eleganza più sottile. È un po’ come accedere a un altro mondo magico che, questa volta, si apre oltre La Porta di Vertine, azienda vitivinicola che sorge nella parte meridionale della denominazione Chianti Classico, a pochi metri dal borgo fortificato di Vertine, nel comune di Gaiole in Chianti.

Ho assaggiato il Chianti Classico 2007 che Ellen e Dan Lugosch hanno prodotto da uve sangiovese con una piccola aggiunta (10%) di canaiolo, colorino e pugnitello: un vino semplice, capace tuttavia di proporre – in una denominazione abbondante di interpretazioni stravaganti – un’idea di Chianti Classico che condivido. I vigneti a forte pendenza che si aprono tra i boschi di lecci sono seguiti da Ruggero Mazzilli – agronomo consulente, da trent’anni si occupa di viticoltura biologica con metodo e sensibilità rari – mentre uve, mosti e vini sono affidati a Giacomo Mastretta consigliato, sino al 2007, da Giulio Gambelli, gran domatore di sangiovese. Frutti di bosco, floreale intenso, viola, spezia, nota animale e tabacco, il tutto presentato a piena maturità. In bocca calore, acidità e tannino compongono un quadro equilibrato e intensamente sapido. Un vino ideale per accompagnare l’arrosto girato toscano: tordi, sasselli, fringuelli arrostiti con legno d’ulivo.

Allargato il territorio, approfondita una nuova provincia, per ritrovarne l’emozione è sufficiente un bicchiere.

Andrea Bonini