Le Lampare al Fortino
Trani  (BA) 

a cura di Simonetta Lorigliola

Un ristorante marino face à la geometrica e assoluta cattedrale. Ospitato tra le mura di quella che fu una chiesetta votiva dedicata a Sant’Antuono (non è un refuso) eretta nel XII secolo, nella Puglia angioina, e poi divenuta, ampliandosi, salvezza e roccaforte militare. Fortino, appunto. A cui negli scorsi anni Cinquanta fu aggiunta una seconda costruzione. 

Il tutto andava in rovina, come spesso accade al patrimonio storico del nostro Paese. 

Cattedrale di Trani

Per fortuna il Comune di Trani, in accordo con la Soprintendenza, opera un filologico restauro i cui lavori si svolgono dal 1982 al 1990. La struttura resta vuota qualche anno, preda del possibile nuovo degrado rischiando di buttare all’aria tanto ingegnoso lavoro.

La salva da questo destino, la cucina d’eccellenza. È, infatti, l’apertura di un ristorante a rimettere in moto il potenziale di tanta bellezza e a renderlo fruibile alla comunità degli umani, ai loro cinque sensi, o solo alla vista di chi, passando, gode di questa storica architettura.

E solo di alta cucina poteva trattarsi, che significa esperienza sensoriale e culturale ad un tempo. Ce lo spiega Antonio Del Curatolo, patron di quel singolare ristorante dalla sua apertura nel 1998.

Quale legame tra l’attività di alta ristorazione e il luogo che vi ospita?

Il legame è assoluto perché le cose dipendono una dall’altra.

Un ristorante di alta cucina ha basi solide, si costruisce nel tempo.

La sua base sono le tradizioni della cucina italiana e del territorio, in ogni senso.

E la nostra grande fortuna è proprio il territorio: il mare e la Murgia. Tanta ricchezza si esprime a tutto tondo e noi abbiamo il dovere di rispettare tutti i suoi frutti. E farci ambasciatori di quel territorio. L’alta ristorazione ha questi fondamenti.

Io ho conosciuto Veronelli nel 2002 durante un suo viaggio in Puglia, ospite di Vittorio Cavaliere. Io ero agli inizi della mia storia e Veronelli venne a cena da noi. Mi disse, come si rivolgesse a un figlio: «Antonio, parlami di te: fammi vedere il tuo territorio».

Io gli proposi piatti che esaltassero la semplicità e la perfezione delle materie prime. Fu una cena memorabile, per me un ricordo indelebile. Ed è stata per me, che ero quasi agli inizi, una sorta di illuminazione. Poi nella Guida Veronelli ai ristoranti eravamo sempre presenti, e per noi era la conferma di una strada intrapresa.

L’essenza dell’alta ristorazione oggi?

Serve innanzitutto la passione. Passione significa fare scrupolosamente il proprio lavoro. E poi significa rispetto. Verso il territorio e ciò che ci dà. E verso gli ospiti, dato che offriamo loro un’esperienza a tutto tondo: il nostro ristorante domina la città, in cui il centro storico e il porto si fondono. Gli sguardi si orientano verso il mare, simbolo di ospitalità. Di fronte abbiamo la cattedrale, la nostra storia. La cultura. Tutto questo significa oggi alta ristorazione.

Quale filosofia guida la cucina?

Qualità e rispetto per le materie prime. E ricerca continua. Non sono gli anni di storia accumulati che fanno la differenza, ma la ricerca. Nel nostro mestiere non si finisce mai di imparare.

E anche la natura si evolve nel suo ciclo produttivo e ci mette in condizioni di approcciarci a soluzioni diverse, sfatando luoghi comuni. Oggi, quando si mangia, ci si trova di fronte a connubi impensabili fino a qualche anno fa.

Terzo lemma, l’innovazione. Al presente le nostre cucine hanno attrezzature che permettono cotture, conservazioni, e accostamenti del tutto nuovi.

In tutto ciò però non dobbiamo mai dimenticare da dove veniamo.

Oggi girare l’Italia è quasi come girare il mondo, ci sono cucine diverse, quelle storiche e quelle nuove. E bisogna anche guardare a queste e pensare come fonderle nel nostro percorso.

Parliamo dell’immensa cantina…

È il risultato di una passione. Ma anche dell’interesse che, nel tempo, abbiamo riscontrato nei nostri ospiti i quali esprimono il desiderio di accompagnare un buon cibo con un buon vino. È molto cresciuta questa consapevolezza.

La nostra cantina conta mille etichette locali, nazionali e internazionali. Non manca un occhio di riguardo la nuovo modo di bere, il naturale. E comprende alcune birre di qualità.

Propone obbligatoriamente grandi vini da dessert o grandi distillati.

La carta vini è importantissima perché ti dà la dimensione di dove sei accolto.

È una responsabilità e un investimento, ma rappresenta la storia del nostro ristorante. Ormai sono 20 anni e le annate dei vini stanno là a rappresentare momenti, ricordi, percorsi.

La cantina non è un fatto di tendenza, ma significa custodire una storia.

Anche in questo senso il vino è un aspetto imprescindibile del nostro settore.

Esiste qualche piatto che può rappresentare il senso della vostra cucina?

La Puglia e un suo classico, lo spaghetto al riccio di mare. Qui noi facciamo entrare anche la sperimentazione. All’ospite offriamo una prima opzione, lo spaghetto al riccio tradizionale, con solo due elementi e una ricerca speciale dedicata alla pasta. Se abbiamo otto primi in carta, abbiamo otto pastifici differenti come fornitori poiché ogni varietà di grano e ogni lavorazione offrono sfumature importanti per la riuscita del piatto. La maniacalità è parte essenziale dell’alta ristorazione che non si dovrebbe giudicare solo dal prezzo, dato che ha sempre il suo motivo.

Poi, però, abbiamo un’altra versione di questo connubio pasta-riccio:  il fusillo di Fara San Martino con burro d’alpeggio o, quando disponibile, con la manteca ovvero quel cuore di burro conservato all’interno di piccoli cacicavalli del Gargano, un formaggio “ripieno” di burro che prende il nome di manteca, appunto e in cui i due si scambiano sapore, profumi e consistenze. Infine, le acciughe di Cetara e il riccio crudo. Qui è tutto in perfetto equilibrio, con un ruolo fondamentale della pasta che deve sostenere i tre livelli di gusto: il grasso del burro, il sapido dell’acciuga e l’aura marina del riccio. La tradizione entra nella ricerca, o viceversa.

In questo quadro brigata e staff di sala che ruolo hanno?

Lo staff e la brigata sono importanti, centrali. E lo sono per la cucina e per la sala. Al Fortino lavorano 18 persone di cui 12 in cucina, la brigata, coordinata da Cosimo Cassano, chef di assoluta esperienza nato a Barletta già artefice (a Barletta) della prima stella Michelin in Puglia, poi partito per diverse importanti esperienze internazionali. L’emergenza sanitaria lo ha riportato un anno fa, a 54 anni, dagli Stati Uniti, in Puglia. E da allora lavora con noi. Con lui ci sono giovani di indubbia preparazione. Cassano rappresenta la solidità, l’equilibrio, la tradizione e i giovani danno l’energia e la spinta innovativa. E poi voglio ricordare l’importanza della sala che è il primo approccio per l’ospite, maître e sommelier sono la carta d’identità del ristorante. Quando la sala e la cucina si fondono e lavorano in armonia, siamo a cavallo.

Cosa pensa di questo ultimo anno, molto difficile per tanti e anche per la ristorazione?

Il nostro mestiere non è in un bel momento. Ma voglio dire che più che mai oggi la cucina ha bisogno di rivendicare la propria identità. Non siamo mestieranti. Noi siamo la cultura del nostro paese. E questa cultura, al pari di altre sue forme, va tutelata. Non siamo asettici codici Ateco, dice qualcuno. C’è tanto lavoro da fare in questo senso, ed è proprio nella crisi che quest’opera diventa tanto più necessaria.

Le Lampare al Fortino 
Via Tiepolo s.n.
BA
lelamparealfortino.it

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Simonetta Lorigliola

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di  cultura materiale. 
È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l’Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista EV Vini, cibi, intelligenze e nel progetto Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana. Ha diretto Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia. Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Responsabile delle Attività culturali. La sua ultima pubblicazione è È un vino paesaggio (Deriveapprodi, 2018).
Foto di Jacopo Venier