Pizzata
Pizzelle
Pizzette
Pizzino
Pizzonta
Pizzotta

La forza della pizza la misuriamo con i suffissi. Eccone sopra alcuni, e andranno integrati in google, con quelli commerciali. Non li identifichiamo, questi derivati, perché la parola stessa pizza ha avuto declinazioni quanto mai varie ed Artusi dà nella prima edizione de La scienza in cucina, 1891, la ricetta di un dolce squisito, pasta frolla, crema di ricotta e mandorle, spolverizzato di zucchero a velo, che intitola Pizza alla napoletana.

Pizza con cacio al 1871

Tal nome, Pizza alla napoletana, a Firenze, era già stato usato dal Cuoco sapiente del 1871 per designare l’impasto – pasta lievitata da far pane, con un po’ d’olio e sale – steso sulla teglia e cotto nel forno. Condimenti? Nessuno perché seguono le ricette della Pizza con acciughe e della Pizza con cacio. 

Da notare l’inizio della ricetta di tale Pizza con cacio:

“Grattate del cacio svizzero giovane …”. 

Se alla fine dell’Ottocento, in Italia, la pizza è la variabile delle variabili, quando la ricerchiamo oggi, il fenomeno si è moltiplicato, con nuovo supporto di linguaggi, dalla fotografia al disegno, in tutte le forme geometriche, dal cerchio al parallelepipedo ad un triangolo con un lato leggermente tondo. E poi i rettangoli e la pizza a metro di Vico Equense…

Pizza ovunque

Per confermare questa ipotesi, non c’è che da visitare una città turistica italiana per trovare pannelli in cui è rappresentata tutta tonda con macchie rosse e bianche e qualche sbafo verde, con la scritta Qui pizza preparata e condita al momento. 

C’è poi chi affigge la lievitazione naturale. È uno strano avvertimento, “Diffidate!” e “Fidatevi solo di aggettivi come naturale, artigianale”, il che implica l’esatto contrario, un nome e un’immagine declinati in ogni modo. Basta osservare il cerchio colorato che sintetizza sull’entrata di qualsiasi locale, un’offerta che si rivelerà multipla, anche Capricciosa.

Una tonda tela su cui scrivere

Del resto la parola pizza è intraducibile ovvero vale per moltissime lingue, e da sola è venuta a designare la cucina italiana, o meglio un’idea adattabile, convertibile, coniugabile di essa. Che vuol dire? Che aveva ragione l’autore del Cuoco sapiente, nell’identificarla con un tondo vuoto, nel quale ogni paese, ogni cuciniere ci metterà del suo. 

Se francese, diventerà una pizza au roquefort, una pizza au cassoulet … se lombardo preferirà il gorgonzola o la cassoeula. 

Tutto è in google,  compresi i servizi per farsela recapitare a casa, il che aggiunge, con la mobilità, nuovi requisiti del prodotto stesso, non solo geometrici e  termici.

Tra il verace e l’improbabile

La fondazione della AVNP nel 1984, Associazione Verace Pizza Napoletana, è stato uno dei tentativi di identificarne un prototipo ed attenersi ad esso, vero, anzi verace. Se ne ritrova il disciplinare ne La pizza una storia contemporanea di Luciano Pignataro (Hoepli, 2018) la cui lettura, pensando a quello che è offerto nel mondo, è persino amena, non quando si dà la ricetta di una marinara (pomodoro pelato g 70-100, olio di oliva vergine o extravergine, 1 spicchio d’aglio, origano g 0,50, sale) ma quando si precisa la legna: “Per la cottura della pizza napoletana deve essere utilizzata legna che non dia fumo o odori che potrebbero modificare l’aroma della pizza stessa (la quercia, il frassino, il faggio e l’acero)”. 

Il pensiero va alle scatole basse e quadrate di surgelate quando entrano furtivamente nei ristoranti che esibiranno il loro cartello con “lievito naturale”, mentre il pensiero ondeggia fra il verace e l’improbabile, considerando questo la chiave dei nostri consumi. 

E poi i nomi e ne basta uno, in  dialetto ligure, Piscialandrea, Pizza all’Andrea, che registra Rosario Buonassisi ne La pizza il piatto la leggenda (Mondadori, 1997). Cose da pazzi!

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Alberto Capatti

Alberto Capatti

Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale.
Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica…che uscì in edicola dal 1984 e il 1991. Capatti è stato direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli.
È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012).
È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004.
Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal la mostra «Livres en bouche» presso la Bibliothèque Nationale de France.
Fa parte del Comitato scientifico di CasArtusi.
Dal febbraio 2018 è presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.