di Simonetta Lorigliola

Il 7 aprile 1986 nasceva il Seminario Veronelli. Eravamo e siamo un po’ dei “dream lovers” in un universo enoico mutato radicalmente, ma che ancora e più che mai necessita di studio, evoluzione e immaginazione.

Dream lovers. Coloro che amano, e il loro sogno.
Parole strane in un breviario enoico. Eppure possono forse descrivere le intenzioni, le prospettive e i progetti di quel gruppo di persone che fondò il Seminario Veronelli, 35 anni fa, tondi tondi.

Dream lovers era anche il titolo di un film di successo mondiale, uscito proprio in quell’aprile 1986 e realizzato da Tony Au, a Hong Kong. La trama ruotava intorno a un’antica scultura in terracotta, un guerriero, reperto archeologico reale, rivenuto negli anni Settanta nella tomba del primo imperatore cinese, Qin Shi Huang. Assonanze…

L’amore è un lemma che può sembrare poco consono in un discorso sul vino, ma chi conosce e pratica la filosofia veronelliana, sa che non è vero.
Sa che l’amore, da Veronelli in poi, è una chiave centrale nell’azione di scoperta e valorizzazione della terra, degli atti agricoli, dell’opera dei vignaioli, della necessaria attenzione al territorio e all’ambiente, dei consumi, dell’assaggio partecipato.

Senza l’amore niente di veronelliano sarebbe stato possibile.
Senza la lotta, nemmeno. E qui fa capolino il guerriero della dinastia Qin. Senza la convinzione, la caparbietà, la consapevolezza delle necessarie azioni controcorrente, nulla sarebbe accaduto. Un destino comune a tutte le avanguardie, forse. O un merito del pensiero lungo, critico, attivo e vivace.

Tutto questo patrimonio culturale che andava formandosi, questa nuova visione su agricoltura, viticoltura, produzione e consumo come e dove poteva trovare dimora e strumenti per moltiplicarsi?

Veronelli, forse, non se lo chiedeva. Era troppo impegnato nell’opera di costruzione del nuovo, nell’incoraggiamento ai vignaioli perchè abbracciassero la strada della qualità, che poi è la chiave che svela l’amore per la terra.

Camminava non solo le vigne, ma le strade e le piazze dell’Italia intera, con numerose incursioni fuori dai confini, per studiare altri territori in cui l’eccellenza era di casa, come in Francia, o in sperimentazione, come nella California.

Eppure, bisognava pensarci.

«Veronelli, che era amato e seguito da tantissimi produttori, veniva un po’ sommerso da moltissime richieste tra le più varie, alle quali lui cercava sempre di rispondere. Ma era complicato, mano a mano che aumentavano. A livello dialettico ci stava dietro, ma non poteva certo dividersi fisicamente. E allora cominciammo a ragionare con lui sulla possibilità di creare qualcosa di strutturato, che seguisse le questioni presenti ma soprattutto continuasse, un domani, a portare avanti una filosofia e lasciasse un segno».

Così mi racconta Maurizio Zanella che era parte di quel gruppo di vignaioli e liberi pensatori che cominciarono a ragionare sulla creazione di quel nucleo operativo e pensante che avrebbe dovuto portare avanti e far crescere l’eredità veronelliana. C’era tra loro, ricorda Zanella, anche Francesco Arrigoni, critico enologico e giornalista, allievo di Veronelli e poi direttore del SV, prematuramente scomparso nel 2011.

Dobbiamo ricordare anche il quadro.
Gli anni Ottanta sono stati anni bui per il vino italiano, e anche per l’agricoltura. Emergevano le prime aberrazioni eclatanti. La terribile vicenda del metanolo ne fu la punta di diamante, proprio nel 1986. E sempre nel 1986 in Inghilterra si scopriva l’encefalopatia spongiforme che avrebbe portato alla “mucca pazza”.

Sono solo due delle massime storture che evidenziavano come il modulo produttivo agricolo andasse rivisto e riformulato. Cresceva intanto la sensibilità ambientale anche in Italia. È del 1987 il referendum sul nucleare e del 1990 quello sulla limitazione dei pesticidi in agricoltura.

Un luogo di formazione, di studio e di sostegno al lavoro di chi voleva privilegiare il miglioramento qualitativo diventava necessario.

Un nome scaturito dalla lingua colta e innovativa che caratterizzava la scrittura veronelliana: seminario. A un primo acchito può ricordare un luogo in cui sono custoditi e germinano i semi. La Treccani ci ricorda che il seminario è un “corso specialistico di esercitazione per la formazione all’indagine scientifica”. Perché rigore e serietà erano giudicati, dai suoi fondatori, utili e necessari al mondo del vino. Seminario, infine, come rivendicavano i movimenti di contestazione all’istituzione universitaria nel Sessantotto, era anche un metodo rivoluzionario di studio in cui alla passività, imposta da cattedre fino a quel momento incontestabili, si sostituivano la partecipazione e la ricerca condivisa. Ovvero la costruzione del pensiero critico.

Tutto questo era – ed è – il Seminario Veronelli.

E come poteva alimentarsi questo ambizioso progetto? Proprio gli stessi produttori avrebbero dovuto sostenerlo. Veronelli ci pensò a lungo. «Per lui il denaro era quasi un nemico», ricorda ancora Zanella «Eppure anche la sostenibilità andava pensata e progettata».

Infine, il Seminario Veronelli nacque il 7 aprile 1986. Ed era qualcosa di assolutamente inedito sulla scena italiana di allora. Formazione tecnica, approfondimento, divulgazione e informazione senza mai dimenticare gli aspetti culturali del vino.

Fu una novità assoluta.
Il 16 dicembre dello stesso anno nascerà poi il Gambero Rosso. Slow Food nel 1989. La sensibilità sui temi andava crescendo.

In principio, con Veronelli, erano proprio i vignaioli, tra quelli che scrissero la storia del vino nel nostro paese.
Ricordiamo quei soci fondatori: Giacomo Bologna, Marco Felluga, Angelo Gaja, Giannola Nonino, Mario Schioppetto, Vittorio Vallarino Gancia, Maurizio Zanella.

Marco Felluga ricorda molto bene quel momento:

«Quanta nostalgia nel ricordare la nascita del Seminario Veronelli, oggi che compie 35 anni. I miei prossimi saranno 94, ma rammento con molta chiarezza quando, con Veronelli e Pier Mario Cavallari ci siamo trovati da Angelo Gaja per parlare la prima volta di questo progetto.

Gino è sempre stato un vulcano di idee, ma è stato soprattutto uno dei promotori del Rinascimento del vino Italiano. Tutto il nostro mondo vinicolo sarà sempre debitore nei suoi confronti.

È stato anche un grande amico con il quale ho condiviso tanti momenti belli. Vacanze, cene, viaggi, gite in barca, parlando sempre di vino. Quando veniva a Russiz Superiore aveva la sua camera.

Per la passione che ci ha trasferito e per quello che ha rappresentato per noi vignaioli italiani, mantenere vivi i suoi valori, tramite il Seminario, è un obbligo morale per il mondo del vino, soprattutto in questo momento, e per le future generazioni».

Ed eccoci, sospinti dalla riflessione di Felluga, giunti al presente. All’eredità del Seminario Veronelli e alla necessità di di farla evolvere.

Zanella: «Quel che fa oggi il Seminario Veronelli ha quasi del miracoloso perché coltiva un approccio culturale in profondità. In un contesto in cui tutto è molto arido, veloce, superficiale, è cosa rara. Cultura, tradizioni, basi scientifiche: è questo di cui oggi c’è più che mai bisogno».

Al trentacinquesimo anno, dunque, è bene guardarsi avanti, sapendo che le spalle sono ben coperte ma i progetti, e persino i sogni, restano un pane quotidiano necessario di cui cibarsi, e da offrire – veronellianamente – al nostro mondo.

Le illustrazioni sono di Sandro Fabbri


Simonetta Lorigliola

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di  cultura materiale. 
È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l’Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista EV Vini, cibi, intelligenze e nel progetto Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana. Ha diretto Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia. Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Responsabile delle Attività culturali. La sua ultima pubblicazione è È un vino paesaggio (Deriveapprodi, 2018).
Foto di Jacopo Venier