La grande espressività del Verdicchio e un ventaglio di rossi singolari

di Gigi Brozzoni*

Jesi (AN)

Come vedremo per la Toscana, anche nelle Marche si notano delle storture e una strana contraddizione su quanto sia stato facile e frettoloso dare alto credito a vitigni come pecorino e passerina, Docg nelle terre di Offida, mentre questa categoria superiore sia ancora appannaggio delle sole Riserva per i più storici, blasonati e consolidati Verdicchio dei Castelli di Jesi e Verdicchio di Matelica.

Favorito dalle ultime buone annate il costante incremento qualitativo e numerico dei grandi vini del Conero, capaci di far esprimere una personalità elegantissima e raffinata al miglior Montepulciano.

Sempre molto espressivi i vini di Verdicchio, Jesi e Matelica, con le uscite di fragranti 2018, di straordinarie Riserva del 2017 e del 2016, ma anche di alcune bottiglie più vecchie e ancora freschissime e sapide.

Dobbiamo ricrederci, inoltre, sulle possibilità di spumantizzazione in bottiglia di questo vitigno, perché se in passato le poche sperimentazioni non ci avevano entusiasmato ora che un poco di esperienza è stata acquisita i risultati sono notevolmente migliorati. Sarà interessante osservare se in futuro questi vini riusciranno ad entrare nel Gotha della spumantistica italiana o dovranno accontentarsi di un ruolo secondario.

Jesi vista dai vigneti delle sue colline

Conferme arrivano dalle singolari caratteristiche organolettiche dei Lacrima di Morro d’Alba, anche quelli un poco affinati, che sanno accompagnare benissimo i diversi cibi della tradizione culinaria delle famiglie italiane o, meglio, quel che ne rimane (ma questi sono argomenti che non ci competono, anche se ci appassionano enormemente).

Molto buoni ma un poco più difficili da apprezzare i diversi vini a base di uve aleatico, forse un po’ troppo floreali per poter essere accostati a molti cibi. D’altra parte, molti vini italiani sono nati e hanno continuato a vivere strettamente legati al loro territorio e alla loro singolare cultura gastronomica, senza mai avere la presunzione dell’interregionalità né tantomeno dell’internazionalità che oggi si vorrebbe imperante.

Proprio in questi ultimi anni scopriamo come il fenomeno Bordò, ovvero la bizzarra attribuzione di origine di un vitigno come il grenache che proprio bordolese non è, sia decisamente più esteso e numeroso di quanto immaginassimo. Stanno arrivando numerose etichette a base di questo vitigno, chiamato in diversi modi, alicante, cannonau, granaccia, tai, tutte molto buone e di personalità. Probabilmente non sarà destinato a crescere molto, ma queste poche bottiglie sono invitanti per chi non si accontenta dei soliti e tradizionali vini del luogo.

Matelica (MC)

Per quanto riguarda i vini bianchi, come scrivevamo più sopra, i Verdicchio di Jesi e di Matelica restano i vini più prestigiosi della regione, anche perché, accanto ai vini d’annata, freschissimi e sapidi, si stanno perfezionando quelli ottenuti con vendemmie tardive e lunghi affinamenti, ormai non più contaminati da note ossidative troppo evidenti.

A parte la polemica per il regime delle Denominazioni, dobbiamo in definitiva ammettere che qualche passo in avanti con Pecorino e Passerina si sono fatti e, soprattutto, con il primo le prospettive possono diventare più rosee e convincenti.

Sappiamo che non è il loro momento migliore, ma anche i vini Passiti potrebbero ricevere un po’ più di attenzione, perché alcuni ottimi risultati in passato li abbiamo trovati.

Vigneti in comune di Morro d’Alba

TRE VINI QUOTIDIANI

Dalla Guida Oro I Vini di Veronelli 2020 segnaliamo tre assaggi, tre vini marchigiani che trovate in vendita tra i 10 e i 20 euro

Verdicchio dei Castelli Jesi Classico Superiore 2018
Fratelli Bucci
Ostra Vetere (AN)

La recensione di Gigi Brozzoni

Un lungo finale che si apre a «coda di pavone»

L’azienda agricola della famiglia Bucci vanta origini antiche, ma c’è voluto l’incontro, negli anni Ottanta, tra Ampelio Bucci, docente di Design Management, e Giorgio Grai, precursore della moderna enologia, per far nascere un vino nuovo che è divenuto presto un modello produttivo per tutta la Denominazione di Jesi. Alla produzione di questo grande vino concorrono: le argille marnose intercalate da sabbie e arenarie debolmente cementate a sud del fiume Nevola; le vecchie vigne di verdicchio piantato più di 50 anni fa e proveniente da vecchie selezioni aziendali; la passione per le coltivazioni biologiche; la sensibilità e la creatività di un grande naso; il progetto di marketing dell’azienda. Raccontare, poi, di fermentazione in acciaio e affinamento in grandi botti sarebbe solo riduttivo, perché è più importante cogliere la fragranza e la ricchezza dei profumi, la sapidità insieme fresca e matura, i rimandi floreali e speziati e il lungo finale che si apre a «coda di pavone», come scriveva Luigi Veronelli nelle sue mitiche cronache enologiche.

Ampelio Bucci, vignaiolo

Lo stile, nel vino, lo dà la mano dell’uomo

Con il Verdicchio abbiamo voluto puntare a due vini diversi, dalle stesse vigne. Un vino dell’anno, da bersi giovane, e un secondo che uscisse dopo due anni di affinamento, che è stato una delle prime Riserve d’Italia. Tra i due potrei forse dire che il vino più importante è il primo – il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore – perché comprende il 70% della produzione. È un vino biologico, da 20 anni. Non abbiamo mai voluto scriverlo in etichetta: il biologico non è uno strumento di marketing ma indica il nostro rapporto con la terra. È un assemblaggio, non un cru. Le uve provengono da cinque diversi vigneti e ogni anno realizziamo un blend per preservare uno stile. Lo stile è la mano dell’uomo, più che la caratteristica dell’annata. Il nostro si riferisce alla freschezza, all’acidità che consente longevità, ad aromi già complessi, che superano i fiori per accennare alle spezie. Note «minerali», si dice talvolta: aromi che abbandonano la dimensione aerea per avvicinarsi alla terra e alle radici della pianta.

Verdicchio di Matelica Meridia 2017
Cantine Belisario

Matelica (MC)

La recensione di Gigi Brozzoni

Un Verdicchio di consistenza e densità superiori

Nata in forma di cooperativa nel 1971, gestisce ora più di 300 ettari di vigneti condotti da 150 piccoli viticoltori. Il Verdicchio di Matelica Meridia del 2016 è una selezione di uve provenienti dalla frazione Balzani del comune di Matelica. Le vigne sono poste a 360 metri di altitudine su suoli del Miocene composti da molasse in banchi e strati con alternanze marnoso-arenacee ed argillose. Il verdicchio dal grappolo serrato è stato piantato nel 1982 e le uve vengono raccolte solo a perfetta maturazione, che tiene conto del rapporto tra zucchero, acidità e pH per mantenere vivo il carattere fresco e fruttato che dovrà ritrovarsi poi nel vino. Il mosto fermenta per circa 30 giorni in vasche di acciaio e poi è affinato per 15 mesi in vasche di cemento vetrificato senza alcun travaso. Il vino tende, quindi, a evolvere verso note terziarizzate che portano in risalto accenti fruttati molto maturi e molto sapidi, di pietra focaia sfregata e di grafite temperata. Un Verdicchio, quindi, di consistenza e densità superiori.

Roberto Potentini, enologo

Un vino “logico e monastico

Fra i nostri cru, tra i Verdicchio più importanti, è l’ultimo nato. Meridia, nel dialetto dell’entroterra maceratese, è l’ombra della quercia che offre riparo ai contadini nella calura estiva. Richiama anche il meridione, e infatti i vigneti da cui proviene sono tutti esposti a sud. È un vino “logico”, nel senso del logos: è il risultato compiuto delle nostre conoscenze produttive, enologiche in particolare. Volevamo chiudere il cerchio: un Verdicchio, clone matelicese, ben affinato in cantina, un’espressione originale del carattere sensoriale che più lo identifica, ossia la cosiddetta mineralità. Per un anno e mezzo, nella parte più profonda della cantina, in vasche di cemento vetrificato, il vino svolge una sorta di maturazione “monastica”, senza essere toccato, salvo qualche leggera movimentazione per evitare la costipazione delle fecce. Niente chiarifiche o filtrazioni: lo sguardo è rivolto alla longevità.

Lacrima di Morro d’Alba 2017
Stefano Mancinelli
Morro d’Alba (AN)

La recensione di Gigi Brozzoni

Trama finissima e morbida, vellutata in un carattere gaio e brioso

Per prima cosa occorre chiarire che il toponimo sembra ricordare la “mora” o cippo che segnava il confine orientale tra i territori di Jesi e di Senigallia in epoca medievale. Le quiete colline di Morro d’Alba non sono troppo distanti dal mare Adriatico e in alcune giornate le brezze marine lambiscono i filari del lacrima, un vitigno che pare debba il suo nome alla goccia di succo che fluisce dal pedicello quando l’acino è giunto a maturazione. I suoli di quest’area sono formati da argille marnose e siltose talora lievemente sabbiose con intercalazione di sabbie e arenarie del Pliocene, che rafforzano la carica fruttata del vitigno lacrima senza increspare la sua fragranza con un moderato e quasi gentile supporto tannico. Stefano Mancinelli è considerato un vero pioniere di questo singolare e raro vitigno e tutte le operazioni enologiche sono mirate a conservare intatto il patrimonio aromatico del vitigno, rafforzato dal suolo e dalla gestione agronomica dei vigneti. Il vino vanta forti accenti floreali di rosa e consistenti note di mora di rovo, la sua trama è finissima e morbida, vellutata in un carattere gaio e brioso.

Stefano Mancinelli, vignaiolo

Tipicità e versatilità per un vino che non si dimentica

Il Lacrima di Morro d’Alba è un vino, lo dico senza presunzione, che non assomiglia a nessun altro. Una volta assaggiato e memorizzato non lo puoi confondere. La sua tipicità è unica e la sua declinazione dei profumi di rosa e sottobosco è un patrimonio singolare e altamente riconoscibile. E poi è un vino di facile beva, che ti invita a seguirlo. Il lacrima è, del resto, un vitigno molto versatile da cui traggo anche due passiti, Il Re Sole e il Terre dei Goti. E ho sperimentato persino la spumantizzazione, in rosso, che mi ha dato buoni risultati. Su questo io ho sempre lavorato: la tipicità e l’unicità di questo singolare vitigno.

Per incontrare tutti i vini marchigiani selezionati e segnalati dalla Guida Oro, scarica la App I Vini di Veronelli

IL LUOGO DEL BUON BERE

a cura della Redazione

Due Cigni

Montecosaro Scalo MC

Curato, minimal, contemporaneo. Ambiente ideale per un’esperienza sensoriale degna di essere ricordata.

L’alta gastronomia qui si sviluppa sotto la guida attenta degli chef Rosaria e Sandro Morganti.

Cucina d’eccellenza, dalla materia prima alle realizzazioni. Tra gli Antipasti, il Polipo grigliata con laccatura di melograno e bietoline. Primo di territorio gli Spaghetti Latini con cicoria, cicoriette, alghe e zenzero. Tr ai secondi un Brodetto del giorno (il pescato è semper tale) con peperone rosso, zafferano e fette di polenta.

Da sapere che i Due Cigni propone un bellissimo (e buonissimo!) Piatto del Buon Ricordo: i Princisgras (detti anche Vincisgrassi) ovvero una lasagna bianca in salsa di guanciale fresco, animelle di vitello, spezie dolci e tartufo. La celebre e forse troppo dimenticata preparazione marchigiana ha la sua codifica nel 1796 ne Il cuoco maceratese di Antonio Nebbia.

Princisgras (o Vincisgrassi) dei Due Cigni

L’idea della cantina del Due Cigni nasce circa 20 anni fa dalla volontà di Rosaria Morganti, allora Presidente regionale AIS Marche. La selezione è stata poi curata nel tempo dal maître Silver Frati. A oggi conta oltre 5.000 bottiglie dai grandi francesi, passando per diverse zone d’Europa. C’è, poi, la migliore Italia enologica, fino ai vini australiani. Giusto spazio alle etichette classiche, ma anche a una larga selezione delle più interessanti realtà enologiche meno note o emergenti. 

Il ristorante offre, infine, uno spazio enoteca sempre aperto, per chi desideri acquistare una singola bottiglia o altre piccole prelibatezze.

Due Cigni
via Ss. Annunziata, 21
Montecosaro Scalo MC
duecigniristorante.com

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Gigi_Brozzoni

Gigi Brozzoni

Curatore della Guida Oro I Vini di Veronelli nato e residente a Bergamo, dopo molteplici esperienze maturate nel campo teatrale e nella progettazione di arredi, nel 1986 incontra Luigi Veronelli. La passione per il vino lo spinge a costanti frequentazioni gastronomiche finché nel 1988 arriva al Seminario Permanente Luigi Veronelli di cui assume la direzione nel 1989. Vi rimarrà per 25 anni fino al pensionamento nel 2013. Ha diretto la rivista «Il Consenso» è stato animatore di convegni tecnico-scientifici in ambito viticolo ed enologico e ideatore e conduttore di corsi di analisi sensoriale per professionisti e appassionati. Negli anni Novanta ha curato la redazione dei Cataloghi Veronelli dei Vini Doc e Docg. e dei Vini da Favola. È autore del libro Professione Sommelier che fu adottato come primo manuale sul vino per le scuole alberghiere italiane. Per l’Associazione Le Città del Vino ha curato numerose edizioni de Le Selezioni di Eccellenza dei vini italiani.