Dal Vulture a Chiaromonte, batte il cuore qualitativo lucano

di Marco Magnoli

Il cuore qualitativo della Basilicata rimane saldamente ancorato al Vulture, ai suoi suoli vulcanici e al suo Aglianico sebbene il panorama non appaia poi così definito, con le solite luci ed ombre, incostanze e costanze.

Dopo gli ottimi millesimi 2015 e 2016, particolare interesse abbiamo riservato ai campioni di Aglianico del Vulture 2017, un’annata non certo «classica » che ci pare, comunque, esprimere grandi doti di potenza e consistenza, da qualcuno gestite e controllate un poco meglio di altri, con risultati eccellenti che, con ogni probabilità, daranno completa prova del loro carattere solo con il tempo e la pazienza.

Foto di Pierangelo Laterza

Se il Vulture ne è il cuore, la Basilicata tuttavia non è tutta lì; altrove ci sono altri contesti e vitigni capaci di offrire vini di ottimo livello e piacevolezza. In provincia di Matera v’è il celebre e diffuso Primitivo, il quale ha dimostrato ottime potenzialità qualitative, che dovrebbe però esprimere con maggior continuità e convinzione, anche se questo dovesse significare tralasciare un poco i soliti Cabernet Sauvignon e Merlot.

Non mancano, poi, vitigni rari e territorialmente circoscritti, prodotti in numeri limitatissimi ma che destano comunque qualche sorpresa e curiosità.

È il caso, per esempio, del guarnaccino, varietà autoctona recuperata in quel di Chiaromonte, certamente molto lontana dall’aristocratica forza ed eleganza del nobile aglianico o dalla sontuosa generosità del primitivo, ma capace di dare vini piacevoli, dalla beva agile e dinamica.

TRE VINI QUOTIDIANI


Tra i presenti in Guida, segnaliamo tre assaggi, tre vini lucani che trovate in vendita tra i 10 e i 20 euro

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Sophia Bianco 2018
Basilisco
Barile PZ

La recensione di Marco Magnoli

COERENTE E LINEARE, CON UNA DELIZIOSA SAPIDITÀ

Come pressoché tutti i comprensori viticoli vulcanici, in particolare quelli caratterizzati da clima tendenzialmente continentale ed elevate altitudini dei vigneti, anche il Vulture è noto per la sua capacità di trasmettere ai vini particolari doti di finezza ed eleganza, soprattutto con vitigni che, come l’aglianico, vantano una confidenza particolare con simili contesti. Non solo l’aglianico, però, bensì anche qualche vitigno a bacca bianca, uno fra tutti il fiano, che non a caso in Irpinia è protagonista di una delle Docg italiane più rinomate, il Fiano di Avellino. Campana è anche la proprietà di Basilisco, azienda con sede a Barile, cuore del comprensorio lucano del Vulture, fondata e portata al successo dalla famiglia Cutolo ed acquistata nel 2011 dai Capaldo di Feudi di San Gregorio, che l’hanno affidata alle abili mani di Viviana Malafarina. Accanto agli ottimi Aglianico del Vulture, Basilisco non poteva, dunque, che cimentarsi anche con il fiano, dal quale ha ottenuto il Sophia Bianco 2018, vino fresco e fragrante che traduce le note fruttate e floreali avvertite al naso in una sensazione gustativa coerente e lineare, resa lunga e profonda da una sapidità di deliziosa intensità.

Viviana Malafarina, vignaiola

UNA NUOVA CHIAVE DI LETTURA DEL VULTURE

Io sono nordica, trapiantata qui da 10 anni e questo vino nasce anche dal mio desiderio di bere qualcosa di diverso dal pur grande Aglianico. Qui non c’è tradizione di vini bianchi, salvo gli aromatici o i passiti. Nella storia e nella cultura del luogo non esiste la visione del bianco secco, fresco e verticale. Ma ho sempre ragionato sul fatto che il suolo è vulcanico e c’è l’altitudine, condizioni ideali per quel tipo di bianchi. Non c’erano bianchi autoctoni e la scelta del fiano – che è figlio del sud, anche se non di queste terre –  risponde all’obiettivo di far sentire il territorio: è, infatti, un vitigno neutro che traduce perfettamente le caratteristiche del suolo.

Il Sophia è un vino sapido, verticalissimo, un vino vulcanico dico io. È una nuova chiave di lettura del Vulture. La prima annata è stata il 2011. Volevo un nome femminile, per questo nostro primo bianco a cui tengo molto. L’azienda produceva due vini, due rossi da uve aglianico, con due nomi maschili: Teodosio e Basilisco, che portano dritti alla storia bizantina, e Sofia fu proprio un’imperatrice bizantina nel VI secolo. Ma il nome racchiude anche l’importante etimologia greca, che ci parla di sapienza e conoscenza. Questo vino rappresenta una nuova declinazione, e quindi una nuova conoscenza, di questo territorio, lo esprime in modo innovativo e coerente. Ma conoscenza significa anche relazione, confronto e quindi c’è il richiamo al vino come medium di condivisione e amicizia.

A me piace berlo come aperitivo, senza accostarlo al cibo, perché così si può apprezzare del tutto la sua cristallina personalità. Ma il matrimonio del Sophia con pesce e crostacei o con primi leggeri e di mare è assolutamente perfetto.

Aglianico del Vulture Superiore Calaturi 2014
Tenuta I Gelsi

Rionero in Vulture PZ

La recensione di Marco Magnoli

UNA SPEZIATURA DAL PIGLIO VIVACE

In una selezione di vini della Basilicata non può, naturalmente, mancare un esemplare di Aglianico. Ve ne presentiamo una versione prodotta dalla Tenuta I Gelsi di Rionero, guidata dall’energico Ruggero Potito che per la vinificazione si avvale della consulenza di Beppe Caviola, celebre enologo piemontese che, avvezzo al nebbiolo, sa bene come tenere a bada vitigni dalla forte personalità. I vigneti aziendali si trovano nella frazione di Monticchio Bagni, sul versante del vulcano che si affaccia sulla Campania. Tra questi spicca la vigna in Contrada Calaturi, un ettaro posto a 550 metri s.l.m. sui caratteristici suoli composti di lapilli vulcanici e argille calcaree, dove affondano le radici ceppi di aglianico vecchi di una cinquantina d’anni. Qui è nato l’Aglianico del Vulture Superiore Calaturi 2014, annata piuttosto complicata, non certo un millesimo di eccessive morbidezze e rotondità, soprattutto con un vitigno già di per sé vigoroso, ma che a I Gelsi sono riusciti a interpretare egregiamente, offrendoci un vino dal carattere forte ed austero, ma di buona intensità fruttata, insaporita da una speziatura dal piglio vivace e sostenuta da una trama tannica fitta e ben tessuta, di piacevole eleganza, profondità e nitore.

Ruggero Potito, vignaiolo

Il VINO DEGLI AFFETTI

Il Calaturi è figlio del vigneto che ha piantato mio nonno più di mezzo secolo fa, a 550 metri di altitudine. Un ettaro di vigna  da è partito il nostro progetto di viticoltura del territorio. Il vino porta il nome della zona. L’etimologia di Calaturi, che si trova nella valle dell’Ofanto, non è conosciuta, ma il toponimo è noto da secoli: oralmente si tramanda che si riferisca alla conformazione fisica dei terreni che mano a mano degradano verso Melfi, creando una «calata». Questo è quello che dicevano i nostri anziani, anche se le ricerche non l’hanno mai confermato.

In questo vigneto è nata anche la mia storia, vitivinicola e personale. Sono nato il 30 ottobre, periodo di raccolta delle uve nel vigneto a Calaturi dove da sempre la mia famiglia ha fatto una vendemmia tardiva. Nel 1978, mentre si pigiava, mia madre ha cominciato ad avere le doglie: ero io che volevo venire al mondo, in cantina! 

Su questo versante del Vulture che guarda alla Campania siamo gli unici a produrre Aglianico e la qualità la teniamo alta. Questo vigneto è un gioiello che va particolarmente custodito.

Una bottiglia di Calaturi si apre nelle speciali occasioni di festa, in famiglia. Ma a me piace stapparlo da solo, con tempi lunghi da uno stappo all’altro, anche un anno. Questo assaggio in solitaria mi aiuta a meditare sul lavoro che facciamo, su come lo facciamo e soprattutto su quello che può dirci sul vino il passare del tempo. I pregi si sentono subito, ma quello che vado a cercare sono quei piccoli difetti che ancora potremmo correggere. Benché con l’attenzione così alta sia difficile trovarne, lo scopo è sempre quello di elevare l’eccellenza di questo vino unico e importante.

Matera Primitivo Iosaphat 2015
Ditaranto

Montescaglioso MT

La recensione di Marco Magnoli

UNA NITIDA INTEGRITÀ

Basilicata non è solo Vulture ed Aglianico. Quello di Matera è, infatti, un comprensorio che, forte di una Doc autonoma, sta cercando di guadagnare consensi e notorietà sfruttando altri vitigni ed espressività. L’area collinare che si affaccia sulla pianura di Metaponto, frutto della sedimentazione marina del Pleistocene, è caratterizzata da zone argillose e sabbiose, dove il primitivo trova condizioni ideali di coltivazione, anche sotto il profilo climatico. Ditaranto è una delle aziende protagoniste della Doc e si colloca nel contesto della valle del Bradano, che anticamente ha risentito dell’influenza della colonia greca di Metaponto e, in seguito, della riorganizzazione agricola operata dalla comunità benedettina insediatasi nell’XI secolo. Con il suo Matera Primitivo Iosaphat 2015, affinato per 12 mesi in barriques di rovere francese, Ditaranto è riuscita a proporre un vino di bella pienezza e personalità, dal colore denso e dai profumi caldi e maturi di frutti di bosco e spezie morbide ed avvolgenti; il sorso rivela generosa ricchezza di frutto e sensazioni tattili dolci e setose, raccontate con nitida integrità e infittite da una tannicità ben governata.

Antonio Ditaranto, vignaiolo 

UN PRIMITIVO AI PIEDI DELL’ABBAZIA

Noi produciamo Primitivo da oltre 15 anni. A un certo punto, sollecitati da alcune richieste, abbiamo deciso di sperimentare l’affinamento in botte di rovere da 300 litri, per 12 mesi. Non è stato facile, perché essendo una piccola azienda, non avevamo nemmeno lo spazio necessario, ma ci siamo riorganizzati e siamo molto soddisfatti della strada intrapresa, benché lo Iosaphat sia una bottiglia ancora quasi sconosciuta.

Su Montescaglioso domina l’abbazia benedettina di San Michele Arcangelo, anno di fondazione 893. In riferimento a questo importante testimonianza storica e architettonica, il primo vino che ho realizzato l’ho chiamato L’abate. Iosaphat è un altro tributo a quel luogo importante. Qualche anno fa, durante alcuni restauri, sono state recuperate le cantine monastiche, e anche diverse cantine rupestri che sorgono tutt’intorno. Nella cantina abbaziale sono state restaurate alcune scritte sui muri, tra cui l’incisione del nome di un frate cantiniere che, nel 1742, era Iosaphat.

È un vino che nasce e resta indissolubilmente legato al suo territorio. Per condividere un brindisi lo si apre volentieri, con gli amici. L’abbinamento? Essendo un vino caldo e persistente va a nozze con la carne arrosto, soprattutto l’agnello.

Le interviste ai vignaioli sono a cura di Simonetta Lorigliola

IL LUOGO DEL BUON BERE

a cura di Simonetta Lorigliola

Dimora Ulmo

Matera

Siamo a Matera, capitale europea della cultura 2019, al motto di Open future.

Mentre parliamo con Francesco Russo, che ci racconta questo progetto e questo locale, pensiamo che debba essere proprio aperto il concetto più appropriato a descrivere il luogo di cultura ed esperienza gastronomica che è Dimora Ulmo.

Aperta è la vista dal magnifico terrazzo sui quei Sassi, Patrimonio dell’Umanità. 

Aperta la filosofia in cucina, teorizzata e applicata da Virginia Caravita e Michele Castelli: scannerizzazione attenta e sensibile del territorio, della sua storia, delle sue preparazioni e delle materie prime che nulla tralascia nello studio e nella ricerca, ma apre a intelligenti picchi innovativi.

La Carta dei vini, apertissima: un migliaio di etichette che aprono al panorama enologico internazionale, a spasso con sapienza tra le zone vocate mondiali. Impera l’Italia, e soprattutto la Basilicata della quale nessuna cantina d’eccellenza è tralasciata, e anzi diverse sono rappresentante con verticali dedicate ai loro vini di punta. Di alcune importanti aziende locali Dimora Ulmo offre verticali dalla prima annata di produzione all’ultima. Rari nantes.

Un quartetto alla guida e gestione del locale: Virginia Caravita, Nico Andrisani, Michele Castelli e, appunto, Francesco Russo. Quest’ultimo, ha fatto noviziato in casa, alla celebre Locandiera (oggi chiusa) con le grandi donne – mamma, zia e sorella – della sua famiglia.

Come è nato questo luogo? «Siamo tre amici, tutti materani, ma ci siamo conosciuti extra moenia, nelle cucine di Massimo Bottura a Modena dove al nostro gruppo si è aggiunta Virginia, che è di Ferrara. Con in testa Matera e la cultura abbiamo scommesso tra noi, immaginando, progettando e, infine, realizzando Dimora Ulmo».

Francesco Russo, co-patron e maître, coi suoi 38 anni, è tra loro « il decano» , come sottolinea lui stesso scherzando.

Sono partiti tre anni fa e il bilancio complessivo di questa triennale, che dice? A Francesco Russo scappa un riso amaro.

«Parlare di bilanci in questo momento, dopo l’emergenza Coronavirus e la chiusura, fa venire un po’ i brividi, è vero. In questi anni però il nostro percorso è andato avanti bene, abbiamo affrontato con ottimismo le criticità, e io credo che anche ora questo debba essere l’atteggiamento da assumere. Il riscontro che abbiamo avuto è stato positivo, e questo deve continuare a incoraggiarci».

In un giro immaginario, e speriamo anche reale, al Dimora Ulmo – che è all’interno di uno storico palazzo della Matera patrizia – non mancate di godervi la preziosa galleria che ospita a rotazione opere di arte contemporanea: Mario Schifano, Marco Lodola, Lucio Fontana per citare solo qualche nome. Merito di Nico Andrisani, visual designer, cultore e collezionista d’arte contemporanea, nonché co-patron di questo luogo dal cuore pulsante e dalla fervida immaginazione.

Dimora Ulmo
Via Pennino, 28
MATERA
www.dimoraulmo.it

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Marco Magnoli

Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento a occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.