L’invito di Gigi Brozzoni a un maggior rigore nella scelta dello stile enologico nei vini rosati raccoglie il contributo di Angelo Peretti, Direttore del Consorzio di Tutela Chiaretto e Bardolino

Le degustazioni svolte ogni anno per redigere la Guida Oro I Vini di Veronelli evidenziano puntualmente traguardi, limiti, potenzialità e problemi aperti di ciascun distretto produttivo, di ogni tipologia.

In generale, siamo costretti a compiere un bilancio sempre molto critico a proposito dei vini rosati, per i quali faticano ad affermarsi stili enologici definiti, radicati, saldi dal punto di vista storico e territoriale.

Quella dei rosati, infatti, è la famiglia che più tende ad appiattirsi su produzioni ordinarie, prive di connotazioni varietali o territoriali nettamente riconoscibili. Anche nelle denominazioni che, con altre tipologie, hanno saputo affermare con efficacia una propria identità, i modelli di riferimento e gli indirizzi produttivi per i vini rosati tendono a confondersi a favore di vini semplici e anonimi, benché corretti e talvolta persino gradevoli.

È questo il massimo che il settore vitivinicolo italiano può dare? Davvero un panorama così composito per suoli, climi, vitigni deve rassegnarsi a questa poco esaltante uniformità? Naturalmente no.

Non mancano, infatti, denominazioni impegnate nella definizione e nella promozione di vini rosati di nuova concezione, ad esempio ricollegandosi al passato, a percorsi interrotti e meritevoli di prosecuzione, oppure prestando maggiore attenzione al proprio patrimonio varietale, da vinificare con sensibilità e consapevolezza nuove.

Un qualificato contributo a questa riflessione viene da Angelo Peretti, giornalista e direttore del Consorzio di Tutela Chiaretto e Bardolino. Un focus sulle produzioni delle due sponde del Lago di Garda, area storicamente vocata alla produzione di vini rosati e da cui provengono alcune delle migliori espressioni della tipologia (ricordiamo soltanto il titolo di Miglior Assaggio attribuito, nell’edizione 2020 della Guida Veronelli, al Valtènesi Riviera del Garda Classico Chiaretto Molmenti 2016 di Costaripa di Moniga del Garda, BS).

Andrea Bonini

A proposito di Chiaretto e Rosé

Il colore attuale del Bardolino Chiaretto è un rosa delicato (“rosa chiaro anche tendente all’aranciato” dice espressamente il nuovo disciplinare già deliberato dall’assemblea consortile e ora in fase di approvazione ministeriale), che corrisponde alla tonalità effettiva che deriva al vino dalla lavorazione “in rosa” (mi si permetta tale definizione) delle uve autoctone locali, ossia la corvina e la rondinella, oltre alla molinara, che, come noto, soprattutto nell’area del Garda sono tutte povere in contenuto di antociani e quindi in materia colorante.

Lago di Garda, Strada del Vino Bardolino DOC

Un “rossissimo” passato

In passato, si avevano casi numerosi e frequenti di tonalità più “accese” a causa (scrivo volutamente “causa” e non “motivo”) non già di macerazioni molto prolungate, quanto piuttosto, abbastanza spesso, della “correzione” cromatica che avveniva, in fase successiva alla vinificazione, mediante interventi enologici di cantina. Tale “correzione” era resa peraltro necessaria dal fatto che il Chiaretto era spesso considerato solo come un “sottoprodotto” derivante dal salasso delle masse destinate al vino rosso.

In assenza dei “correttivi enologici” (di fatto, spesso veniva utilizzato il cosiddetto “rossissimo”, alloctono, pur consentito dalla normativa di settore), la tonalità del Chiaretto era invece “naturalmente” (e inevitabilmente, stanti le prerogative delle varietà locali) tendenzialmente chiara, come lo è oggi e come peraltro dimostravano già ampiamente alcune fra le migliori produzioni della denominazione.

Il perché degli “aggiustamenti cromatici” praticati in passato è presto detto: i toni scuri (talora addirittura fucsia) li “voleva” il mercato tedesco, che di fatto costituiva l’unico destinatario del Bardolino Chiaretto e che “pretendeva” allora (oggi non più) anche una “morbidezza” organolettica ottenuta talora con ulteriori correttivi enologici (mosto concentrato rettificato, anch’esso consentivo dalle normative vinicole). Insomma: quelle del passato erano realmente pratiche dettate da “esigenze di mercato”.

Chiaretto di Bardolino: moda, strategie e identità

Oggi la gran parte della produzione si è invece finalmente (e mi permetto di sottolineare il “finalmente”) orientata alle pratiche più rispettose della tipicità e dell’identità del Chiaretto di Bardolino e delle sue uve, in numerosissimi casi addirittura attraverso la selezione dei vigneti da destinare al Chiaretto rispetto a quelli da dedicare al Bardolino (con conseguente adozione di scelte agronomiche diversificate).

Il che significa che la “moda” dei rosé francesi chiarissimi di colore non c’entra con la tonalità tenue del Bardolino Chiaretto e non l’ha nemmeno influenzata, soprattutto in considerazione del fatto che il processo identitario di cui si è detto ha avuto avvio con il piano strategico redatto nel 2008 e varato dal Consorzio di tutela nel 2009 (ben prima quindi del successo provenzale), trovando compimento con la vendemmia del 2014, dopo un’ampia sperimentazione.

Lo “stile enologico” oggi perseguito dai produttori, e molto largamente condiviso all’interno della filiera, rappresenta pertanto la concretizzazione dell’impegno massimo realizzato nell’area per garantire una identità realmente territoriale al Chiaretto di Bardolino (per inciso, la dizione “Chiaretto di Bardolino” sarà ammessa in alternativa a “Bardolino Chiaretto” con il nuovo disciplinare).

Pergole sul lago a Bardolino (VR)

La situazione sulla sponda lombarda

Considerazioni in parte diverse si dovrebbero fare per il Chiaretto della riva lombarda del lago di Garda, in ragione della diversa base ampelografica, contenente anche varietà dotate di più consistente potere colorante.

In pratica, generalizzando, il Chiaretto bresciano della Valtènesi ottenuto da sole uve di groppello, povere in antociani, tende infatti spesso ad essere piuttosto chiaro, mentre quello che include le varietà dell’uvaggio tradizionale, ossia barbera, marzemino e sangiovese, più dotate in materia colorante, può anche tendere ad essere meno chiaro: entrambe le soluzioni – groppello “in purezza” e in blend – sono ammesse dal disciplinare lombardo.

Si tratta, tuttavia, evidentemente di un tema a sé stante rispetto a quello della realtà bardolinese, e in ogni caso i due vini, ossia il Bardolino Chiaretto e il Valtènesi Chiaretto, non appaiono assimilabili proprio per il diverso patrimonio viticolo delle due denominazioni, pur appartenendo ad un uguale contesto climatico (il microclima gardesano) e pedologico (i suoli morenici, di origine glaciale), oltre che storico.

Angelo Peretti

Direttore del Consorzio di Tutela Chiaretto e Bardolino