di Alberto Capatti

New Orleans è oggi un epicentro del Coronavirus negli States.
Rivedo, a fine gennaio, nel quartiere Marigny le viuzze e le case a un piano, e nella grande piazza con museo, chiesa e molo sul fiume Mississipi, al mattino, non un suono ma una folla che s’attarda e ondeggia, diradandosi. Il carnevale che si è cominciato a celebrare – contrariamente a Venezia – è il momento culmine dell’anno e verrà ricordato anche per la successiva epidemia. 

Ho avuto la fortuna, al suo inizio, di trascorrervi una settimana in casa d’amici, due americani, Mary e Philip Hyman, residenti a Parigi dove sono i massimi esperti della mappatura di prodotti e piatti tipici francesi. Lui è nativo di New Orleans. 

La Central Grocery a New Orleans

Un panino: la ragione di un viaggio

Perché ho scelto proprio di visitare la capitale della Louisiana? 

Non per il jazz né per una esotica curiosità verso una città prima francese, poi spagnola ed infine statunitense, ma per il suo simbolo, la muffaletta, un pane di origini palermitane – qui lo declineremo in tutte le ortografie – poco noto in Italia, e rinato in quella città sotto forma di panino farcito. 

Lo si trova dappertutto, e c’è un  negozio nel centro, Central Grocery, che vanta il 1906 come anno di nascita di sé e della muffoletta, ed offre prodotti italiani di qualità all’interno: salse, paste e formaggi. Al banco si chiede la muffuletta, e viene servito un pacchetto a sorpresa. 

1906 è l’anno in cui un siciliano di nome Salvo, apre un banco al mercato, un mercato controllato dalla mafia siciliana, e vende la sua muffuletta. Come mai diventerà la specialità locale? 

La Muffaletta in una delle sue declinazioni

Una settimana di muffalette

È facile pensare ai musicisti, ai loro ascoltatori, alle sfilate di carnevale, e ad una città che rifiutava la cucina francese o spagnola cercando un cibo americano semplice, d’acquisto immediato, che non fosse l’hamburger ma un pane rotondo, 20-25 cm di diametro, soffice come una focaccia e farcito con prosciutto cotto, genoa (salame), emmental e salsa speciale di olive. La mortadella o il provolone ci stanno egualmente. 

Non più la specialità palermitana, ma un sandwich internazionale destinato a saziare turisti di ogni dove, che si trova, oggi, con varianti, compreso il pane stesso tostato, in ogni locale della città. Una sola alternativa, in questo ambito, i poboys, da poor boy, povero ragazzo, una baguette locale che può contenere di tutto, dal roast-beef ai gamberetti fritti.

Con questa idea fissa, ogni giorno, per tutta una settimana, una muffaletta nuova, o una parte di essa – è venduta anche a metà e a quarti – in cui ritrovare le varianti di una ricetta d’un altro mondo, e poi passeggiate nei quartieri, nel Burgundy, nel Marigny, per le vie della città vecchia, con casette ad un piano ed ingresso sulla strada. Strana sensazione di una urbanistica paleoamericana e di appartamentini b&b, in uno del quali ci trovavamo. 

Il poboy

Città vecchia e città nuova

Accanto alla vecchia New Orleans, una seconda città, tutta nuova, che ho solo sfiorato, con qualche grattacielo; tutt’intorno la campagna con ville e villette, da raggiungere in auto, e poi le paludi, swamps

Siccome il mio soggiorno coincideva con l’inizio del carnevale, la sera, musicisti e brevi sfilate, con un pubblico ad applaudire addensato sui marciapiedi. Per le viuzze, ristoranti con cucina creola, cajun, quindi musei, locali per la musica e, verso la città nuova, un curioso museo il Southern Food and Beverage Museum, in cui si ritrovano menu, libri, bottiglie, prodotti ed attrezzi di ogni tipo, disposti su tavoli che permettono al visitatore non solo di vedere ma di toccare.

Vi si tengono corsi di cucina e una prima visita, con Google, è consigliabile.

Ristoranti e cucina di casa a New Orleans

La sera, noi quattro, al ristorante, con o senza ospiti. Cosa ordinare? Zuppa di tartaruga oppure il gombo, zuppa di okra, gamberi e salsicce piccanti (andouillettes). Dalla presenza di questi soli ingredienti, è facile intuirne altri, a piacere, dal riso al pollo, con ricette tutt’altro che prescrittive, in sintonia con una terra dalla storia multiculturale. I vini, solo francesi.

E nelle case ? Citerò l’ultima cena da Liz Williams, fondatrice del citato museo, in una villetta, appena fuori, dove abita con il marito, entrambi avvocati. Eravamo in sette a tavola. Ecco il menu che mi ha descritto nel dettaglio, ricette alla mano, da brava cuoca casalinga. 

Prima abbiamo avuto una salsa di melanzane. Se cuciniamo qualcosa di quella consistenza e la inseriamo in un pollo, in una verdura o in un pesce intero, la chiamiamo ripieno, ma se viene servita da sola, com’era, la ridenominiamo contorno. Era fatta con melanzane arrostite – ce n’erano tre nel lotto, preparato per la nostra cena di sette persone. Aggiungi cipolle tritate e saltate, aglio, pangrattato, formaggio grattugiato, scorza di limone ed erbe. Quella a noi servita, in ciotole singole, aveva anche origano, basilico, prezzemolo e pepe di Cayenna.

Poi è arrivata l’insalata, tutta cruda. Quindi abbiamo mangiato pollo e gamberi con graniglia (grits). Il pollo e i gamberi sono facili da cuocere. Soffriggere un po’ di pollo tagliato in padella e metterlo da parte. Nella stessa padella, soffriggere le cipolle, il sedano, l’aglio e quindi aggiungere un sacco di peperoni di diversi colori. Aggiungere il pollo ed una foglia di alloro. Cucinare. Se diventa troppo secco, si ammorbidisce con un po ‘di vino bianco. Circa 10 minuti prima di servire, unire i gamberi e mescolare. 

Una degli ospiti, Betania, aveva portato un piatto di pane e spinaci, con il prosciutto.

Per dessert abbiamo avuto il ghiaccio al limone, una granita, comprato da Angelo Brocato e la torta del re, king cake, anch’essa acquistata.

Il giorno dopo siamo partiti da New Orleans. All’aeroporto l’ultima muffaletta, surgelata e riscaldata, a testimonianza di una catena alimentare ininterrotta e monotematica.

Volo a New York poi a Milano, e nessuna tentazione di riassaggiarla. Semmai, un nuovo viaggio…


Alberto Capatti

Alberto Capatti

Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale.
Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica…che uscì in edicola dal 1984 e il 1991. Capatti è stato direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli.
È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012).
È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004.
Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal la mostra «Livres en bouche» presso la Bibliothèque Nationale de France.
Fa parte del Comitato scientifico di CasArtusi.
Dal febbraio 2018 è presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.