di Alberto Capatti

Tutto dovrebbe farci credere che è stata una pausa. La ripresa della mobilità e la vicinanza concessa, la stagione prossima delle vacanze e i liberi acquisti, sono oggi gli indici della pandemia calante, cui manca poco, la partita di calcetto e lo stadio di calcio per una prossima partita, non televisiva. Invece, è stata ed è la svolta storica più importante, quella in cui abbiamo vissuto un ritorno a noi stessi, singoli individui, senza altri mediatori che quelli ormai virtuali, del telefonino e del computer, ed una egemonia del sistema alimentare, industriale e artigianale su ogni altro.

foto L. Monasta

Per i singoli, è stato ed è una ricerca di un regime e di una cucina, anche quella con consegna a domicilio, di una cultura nuova in cui l’individuo, la coppia, la famiglia hanno dovuto rendersi conto e rispondere. Preparando pane e torte in casa, ripartendo, in Italia, dalla farina per rifondare una vita incerta, forse temporanea o forse di lungo periodo. 

Questo fa dell’esperienza che stiamo vivendo, che non possiamo dire di aver semplicemente vissuto – tante sono le incognite – il punto di riferimento storico che segna uno stacco dal passato e configura un percorso tutto da studiare.

A chi risponde che i vini continuano ad invecchiare nelle cantine e che il patrimonio non è cancellato, è facile ribattere che la bottiglia non la si stappa in un luogo e in una circostanza qualsiasi e lo stesso modo di nutrirsi, influisce sull’approccio al bicchiere, e non conosciamo quale sarà il ritorno.

Molti danno per scontata una cancellazione della pausa, mentre invece sarebbe bene considerarla un evento rifondatore dei nostri consumi, riesaminando agricoltura e industria, e soprattutto tornando ai ricordi più recenti, alle nostre uscite fantasma in città, in paesi con le vetrine tutte chiuse, e al conforto di una tavola apparecchiata con una carbonara surgelata oppure con un piatto di gnocchi fatti in casa.

Disegno di Bruno Munari

La nuova storia alimentare dunque, con un punto che chiameremo coronacibus, entro al quale ci stiamo dibattendo, a partire dal quale dobbiamo esaminare il presente-passato ed il presente-futuro.

Proprio la riapertura di bar e ristoranti, sarà l’occasione per ridefinire quale debba essere il ruolo della propria residenza nel dissetarci e nutrirci, e se saremo in grado di riesaminare le abitudini che sono il voltaspalle a quanto criticamente ci sovrasta.

Niente pausa dunque, sopratutto nel pensiero, per rendersi subito conto dell’esigenza di un metodo, a partire dal quale poter descrivere quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo.

Primo punto : Io mangio dunque sono in cui mangio = penso, e via discettando sull’etimologia stessa di epidemia che rinvia a demos, al popolo.      


LECCA LECCA

La rubrica di Alberto Capatti

Parole e papille. Un pensiero, un gesto immaginario. Gustare fugacemente per fuggire dai parametri del gusto accademico. Pescare quesiti e incubare possibili risposte. Disseminare, raccogliere, provocare.

Alberto Capatti

Alberto Capatti

Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale.
Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica…che uscì in edicola dal 1984 e il 1991. Capatti è stato direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli.
È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012).
È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004.
Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal la mostra «Livres en bouche» presso la Bibliothèque Nationale de France.
Fa parte del Comitato scientifico di CasArtusi.
Dal febbraio 2018 è presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.