Il Nero d’Avola che innamorò Tachis e un’isola agricola con il cuore di smeraldo

di Simonetta Lorigliola

Cammarata, Agrigento. Feudo Montoni.
Da quanto tempo esiste l’idea geograficamente incarnata di questo luogo in cui edifici secolari si integrano in un paesaggio, dove le colture sono nate e cresciute grazie all’assenza di derive antropomorfe?
L’uomo, la donna ci sono. Ma qui non sono mai stati invasivi.
Si sono integrati, anche loro, in questo paesaggio vegetale, diventandone soggetti, rendendo possibile quello stesso paesaggio che vive con la cura e l’amore di chi lo custodisce.

Quali erano i suoi sogni e gli obiettivi iniziali e quali, tra questi, si sono realizzati?

A dire la verità mi rendo conto molto bene, oggi, che non avevo un progetto preciso. Era piuttosto un non progetto. Quando avevo 20 anni mi sono scontrato con la realtà. 

Avevamo una bella azienda, producevamo belle uve, di quel nero d’Avola che allora chiamavamo calabrese. Le vendevamo a Tasca d’Almerita, e in parte  le destinavamo a una nostra vinificazione.

Ma era un vino totalmente diverso da quel che mercato voleva e offriva. Quel mio Nero d’Avola non era scuro e impenetrabile; non era strutturato; non era un vino da masticare. Era sottile, elegante, sobrio e, a volte, forse solo un po’ scontroso.

Feudo Montoni a primavera

Erano gli anni dei vini con grandi muscoli…

Si, quello che si vendeva bene era proprio il vino muscoloso, in stile californiano. 

Andavano soprattutto i Merlot e i Cabernet, e si piantavano quelli in Sicilia perché quegli impianti erano anche finanziati da risorse pubbliche. Non c’era molto scampo. 

Quando andavo alle fiere, tornavo sempre depresso. Il mio vino non incontrava favori. 

Mi crucciavo. E provavo, magari, a fare un vino più vicino a quell’idea allora vincente.

Magari cercavo di aumentare la durata della macerazione. Ma niente da fare. Neanche così ottenevo quello che il mercato voleva. Era come se fosse impossibile trasformare quel Nero d’Avola in una cosa differente da come era sempre stato.

E, dunque, come ha proseguito? 

Noi abbiamo un approccio familiare e artigianale: siamo semplicemente andati avanti, anche se avevamo grosse difficoltà a far capire il vino. 

Poi ho avuto la fortuna di incontrare Giacomo Tachis, che era stato chiamato in Sicilia come consulente dell’Istituto della vite e del vino. 

Lui non aveva bisogno di conferme dal mondo del marketing e del mercato. Sapeva cosa significava l’idea di un vino e il suo legame con un terroir. 

Cominciò a fare le sue ricerche sui vitigni autoctoni di alcune zone della Sicilia. In una degustazione assaggiò il nostro Brucara, Nero D’avola. Era del 1997, se non ricordo male. Gli piacque e ne fece una descrizione superlativa. Io ero presente, lo ascoltavo e quasi non ci credevo. Fu la svolta, per me. Da là nacque un’amicizia. Tachis voleva capire perché a Feudo Montoni il Nero d’Avola diviene così singolare.

Mi mandò un fax in cui citava il De Naturali Vinorum Historia di Andrea Bacci, il primo trattato di enologia in volgare, diviso in 7 libri. Bacci parla di un viaggio con un carro da Palermo a Feudo Montoni. Descrive questo luogo come “un anello con lo smeraldo circondato d’oro”.

Le vigne, cuore di smeraldo di questo microterritorio

Il giallo del grano e al centro il verde delle vigne, esattamente come è oggi….

Estensioni di grano giallo e poi, come un’isola, spunta il verde delle vigne. Questo è il presente e anche la nostra storia centenaria.

Bacci dice che a Montoni trova viti il cui tronco era grande come l’abbraccio di un uomo. Chissà. Dice che vi si produce un vino eccellente e di lunga conservazione. Era quindi un vino con grado alcolico non troppo basso, alta acidità e un Ph basso. E in effetti noi abbiamo tutto questo perché siamo in montagna, a quasi 750 metri di altitudine.

Qui le vendemmie sono tarde e le temperature basse, durante la vendemmia e la vinificazione. Diciamo che siamo di fronte a una specie di fermentazione a temperatura naturalmente controllata. E questo ci fa capire molto su quei vini di cui parlava Bassi, in quell’epoca…

Appassimento nel Baglio – vendemmia 2019

Da Tachis in poi è mutata la sua consapevolezza, ma sul mercato come andava?

Io mi svenavo e mi sgolavo per cercare di raccontare tutto questo. Ma fino al 2000 non sono mai stato contento: il mondo non mi ascoltava. Continuavo a confrontarmi con Tachis, che mi incoraggiava. 

Quando ho deciso di impiantare un nuovo vigneto esistevano i cataloghi dei vivai, per la scelta del tipo di clone. Non li ho considerati. Avevo in azienda dei vecchi ceppi di 85 anni, e anche alcuni adorati collaboratori di una vita, che sapevano innestare. 

Abbiamo cominciato a innestare il selvatico con le nostre piante storiche e da allora non abbiamo più fatto diversamente e per la riproduzione e l’impianto pratichiamo solo selezioni massali.

Nel frattempo passavano gli anni e anche i trend enoici mutavano…

Quando il mondo fu stanco di quel vino globalmente omologato e cominciò a cercare qualcosa che potesse essere più rispondente a un territorio, noi quel vino lo avevamo. E avevamo anche una storia autentica.

Oggi in 42 ettari, sono presenti varie antiche cultivar, soprattutto di nero d’Avola. Che preserviamo con la selezione massale. 

Per poter capire questa complessità ho fatto 20-25 microvinficazioni per 20 anni, ogni anno. 

E ho sperimentato circa 500 possibilità di Nero d’Avola coerenti, ma diversi. Le versioni che propongo oggi sono frutto di questa continua ricerca, nel rispetto delle potenzialità e delle peculiarità delle uve di questo luogo.

Qui abbiamo la diversità, e la dobbiamo promuovere…

Appassimento fuori dal Baglio – vendemmia 2019

Avete diversità e biodiversità contando che l’azienda coltiva scrupolosamente e con alti risultati qualitativi anche grano, legumi, olivi, cereali e poi c’è il bosco. L’agricoltura e la viticoltura avvengono senza l’ausilio di prodotti di sintesi, che forse qui non sono mai nemmeno entrati. E poi ci sono i venti che asciugano, il sole e le escursioni termiche. Feudo Montoni è una sorta di isola, quasi un ecosistema….

Facciamo agricoltura biologica, ma è una scelta in linea con il luogo. Seguiamo la nostar storia, la geografia, il clima. Io dico che abbiamo un ventilatore naturale sempre acceso, che asciuga e ci preserva dagli attacchi fungini.

Qui il patrimonio genetico è intatto, sia per la selezione massale sia perché siamo circondati da altre colture pulite, gestite da noi.

Questo dobbiamo promuovere.
E non devono decidere i mercati!

Naturalmente io posso permettermelo perché ho un’azienda piccola.
Potrei pensare a un’espansione. Ma non mi interessa.

La mia è una scelta di libertà e responsabilità: il mio ruolo qui non è solo coltivare, ma di custodire. 

Cosa le piace di più oggi del suo Nero d’Avola?

La cosa più bella è che io non sono mai sodisfatto dei miei vini.

All’ultimo giorno di vendemmia, penso già alla prossima… 

Negli anni ho aggiunto le temperature controllate in cantina, e poco altro. Sto sperimentando da alcuni anni la vinificazione coi raspi, per giocare sull’equilibrio dei tannini. Sono studi sul campo.

Cantina Croce (costruzione 1469) di Feudo Montoni

Chi è il oggi consumatore dei vini di Feudo Montoni?

Sul New York Times il nostro Grillo Timpa 2018 è finito tra i 10 migliori bianchi italiani sotto i 25 dollari nella classifica stilata da Eric Asimov.

Un segnale. Per me il vino deve essere approcciabile dai più.

Penso a gente semplice, nel senso puro della parola: persone che si avvicino al vino senza preconcetti e ideologie.

E poi c’è il diritto a un bere bene quotidiano, che stia nella fascia prezzo tra i 10 e i 20 euro al massimo. Io credo che il nostro consumatore sia un po’ anarchico e un po’ veronelliano, che non lo guidino i punteggi secchi, ma i «seminari» ovvero lo sguardo critico, la ricerca…

Chiudiamo con uno sguardo al Brucara, il Nero d’Avola totemico di Montoni. Perché si chiama così, e cosa rappresenta questo vino nella filosofia aziendale?

Vrucara é il nome del cru da cui proviene l’uva. In quel terreno è sempre cresciuta la Vruca, un arbusto locale che ha dato il nome al terreno. 
Quando cammini questa vigna sei inondato dal profumo mentolato e di incenso emesso dalla Vruca. Lo puoi ritrovare nel vino.
Come fai a pensare di buttare, che ne so, glisofato qua dentro?
Oggi il biologico è spesso un concetto abusato.

Qui è semplicemente sottinteso.

Fabio Sireci – Fotografia di Sara Remington

feudomontoni.it


Simonetta Lorigliola

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di  cultura materiale. 
È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l’Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista EV Vini, cibi, intelligenze e nel progetto Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana. Ha diretto Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia. Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Responsabile delle Attività culturali. La sua ultima pubblicazione è È un vino paesaggio (Deriveapprodi, 2018).
Foto di Jacopo Venier