Parole, vituperi «et alia verba inania» accompagnano la storia gastronomica, tra soave poesia e qualche eccesso gender uncorrect. Dalle fritole in poi…

di Pietro Stara

Fritola – Foto A. Francioni

La storia del cibo e dei suoi eccessi è strettamente correlata alla profusione incontrollata di parole: così come nella gola confluiscono alimenti e liquidi per saziare i piaceri della carne, dalla stessa, in misura più che proporzionale, fuoriescono “la scurrilitas, il multiloquium, scilicet detractio, vituperia, et alia verba inania”.

(San Gregorio Magno, Roma, 540 circa – Roma, 12 marzo 604)

Le parole, a loro volta, si fanno cibo e si trasfigurano negli appellativi dissoluti di alcuni piatti che giungono a noi dai tempi più remoti.


Peti e gomitoli

Così è per le dolci frittelle nominate «pedeta de putana» (peti di puttana), menzionate nel gliommero quattrocentesco Licinio, se ’l mio inzegno di Iacobo Sannazaro: «Gliommero è l’equivalente napoletano di ‘frottola’, sia nel senso più ampio, sia in quello di testo ‘frottolato’, in rime al mezzo. Letteralmente, significa ‘gomitolo’»

(Iacobo Sannazaro, Napoli, 28 luglio 1457– Napoli, 6 agosto 1530)

(…) La memoria felice de re Andrea
de la suppa ’naurea si delectava
et spesse volte usava gelletina
la salza gamillina et le zandelle
et sopra alle crespelle zafarana
pedeta de putana et maccharoni
con dui o tre caponi sotterati.(…)

(…) La buon’anima del re Andrea 
gradiva molto la zuppa inorea [con mandorle, fegatelli, mele] 
e molto spesso usava la gelatina, 
la salsa gamellina [del colore del cammello] e piccole cialde dolci, 
e sulle crespelle lo zafferano, 
frittelle dolci rigonfie [peti di puttana], maccheroni [dolci, ricoperti di zucchero e cannella] 
con due o tre capponi copertti [cotti sotto la brace] (…). 

Dietro alle fantastiche similitudini gastronomiche e ai fatti di cronaca si celano allusioni politiche: nostalgia del passato angioino, critica del presente, mancanza di magnificenza e splendore.

Bomboloni – Foto L. Monasta


Scorregge sfrigolanti

La « pedeta de putana» riprodurrebbe il francese pet de putain:

«Il est également appelé beignet de vent, beignet venteux ou soupir de nonne e pet de putain da Georges Dubosc, in Crêpes et beignets (Chroniques du Journal de Rouen, dimanche 15 février 1925) oppure pet de vieille (pet de bièillo) secondo l’Aveyron in Aimé Vayssier, Dictionnaire patois-français du département de l’Aveyron (Rodez, Ve E. Carrère, 1879; rééd. Marseille, Laffitte Reprints, 2002».

Curioso e intrigante non sarebbe il peto in sé, quanto la sua rarefatta e sfrigolante provenienza attribuibile tanto a una puttana quanto a una suora: 

«il Synon. de beignet (v. ce mot B spéc.). Les cuillers grincent contre le sucre en poudre des pets-de-nonne (Martin du G., Devenir,1909, p.20). La friture grésille (…) pour ‘saisir’ les ‘pets de nonne (…)” (Menon, Lecotté, Vill. Fr.,1, 1954, p.90). “Les pets de nonne doivent être mangés bien chauds, afin de conserver la légèreté qui leur a valu leur nom”». 

(Ac. Gastr.1962)» in https://www.cnrtl.fr/definition/pet-de-nonne

Ovvero, in italiano:

«I cucchiai sfrigolano contro lo zucchero a velo delle scoregge della suora. La frittura sfrigola (…) per cogliere le scoregge della suora (…). Le scoregge della suora devono essere mangiate calde, per mantenere la leggerezza che ha dato loro il nome».

Non possiamo fare nessuna supposizione se non quella che “les pets-de-nonne sont trop légers pour être rangés dans la catégorie des étouffe-chrétiens”, ovvero che “le scoregge della suora sono troppo leggere per essere classificate come difficili da digerire” (che soffocano un cristiano inteso, in questo caso, come essere umano).

Chiacchiere, crostoli, galani… – Foto L. Monasta

L’unico e più antico riferimento gastronomico a questa prelibatezza dolciaria rimane la ricetta contenuta nel Libro de Arte Coquinaria, composto per lo egregio Maestro Martino Coquo olim del Reverendissimo Monsignor Camorlengo et patriarcha de Aquileia tra il 1456 e il 1467 (primo ricettario della storia italiana ad avere la firma del suo autore), in cui si fa esplicito riferimento alle “frittelle piene di vento”. Esse paiono appunto piene ma, in realtà, sono vuote:


Frictelle piene di vento

Togli del fiore di farina et d’acqua di sale et del zuccaro; distemperarai questa farina facendone una pasta che non sia troppo dura, et falla sottile a modo di far lasagne; et distesa la ditta pasta sopra ad una tavola, con una forma de ligno tonda overo con un bicchiero la tagliarai frigendola in bono oglio. Et guarda non ti vinisse bucata in niun loco, et a questo modo si gonfiaranno le frittelle, che pareranno piene, et seranno vote. 

Ed è quella divina brezza di cui ancora oggi godiamo quando assaporiamo bugie, chiacchiere, carafoi, cenci, cróstoli, frappe, frappole, galàni, galarane, maraviglias, merveilles, tracci, lasagne, pampuglie, manzole, garrulitase chi più ne ha più ne metta.

Riferimenti bibliografici

Nicola De Blasi, A proposito degli gliommeri dialettali di Sannazaro: ipotesi di una nuova attribuzione, in Studi Rinascimentali, Rivista internazionale di letteratura italiana, n. 5, Pisa – Roma, 2007 Fabrizio Serra Editore;

Monica Alba, Caterina Canneti, Elena Feliciani, Chiara Murru, Male parole. Il gusto di dire parolacce, in (a cura di) B. Aldinucci, V. Carbonara, G. Caruso, M. La Grassa, C. Nadal, E. Salvatore Parola, Una nozione unica per una ricerca multidisciplinare, Studi e ricerche 2019, Edizioni Università per stranieri di Siena;

Libro de Arte Coquinaria, Composto per lo egregio Maestro Martino Coquo olim del Reverendissimo Monsignor Camorlengo et patriarcha de Aquileia in http://italophiles.com/maestro_martino.pdf.


HORS-D’OEUVRE curiosità dalla storia
Una piccola rubrica «fuori opera». Il termine hors d’oeuvre nacque in ambito edilizio, per indicare le parti accessorie e non necessarie di una costruzione. Traslate successivamente in ambito culinario, le hors d’oeuvre comparvero per la prima volta nel 1714 come piatti che precedevano il pasto principale e prima delle entrée, i veri e propri antipasti, con cui vennero successivamente confuse. La loro funzione era quella di stimolare l’appetito, così come cercherà di fare questa rubrica: curiosità storiche in ambito culinario e vitivinicolo che incoraggino l’approfondimento e la sperimentazione.

Pietro Stara

PIETRO STARA

Pietro Stara dimora e lavora a Genova. Ha collaborato lungamente con il blog Intravino e ne ha uno proprio: vinoestoria. Ha scritto un libro di storia del vino, Il discorso del vino: origine, identità e qualità come problemi storico-sociali per i tipi della Zero in Condotta di Milano e ha collaborato con alcune riviste cartacee: «SpiritodiVino», «Millevigne», «Pietre Colorate».

Insegna Antropologia nel Master di Wine Culture e Communication presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Bra).